Professionismo calcio femminile – L’11 dicembre 2019 è un giorno che entra di diritto nella storia civica e sportiva italiana.
Nello stesso giorno in cui, per la prima volta nella storia repubblicana, una professionista donna, Marta Cartabia, è stata eletta presidente della Corte Costituzionale, la Commissione Bilancio del Senato, con l’approvazione di un emendamento alla Legge di Bilancio presentato dai senatori Tommaso Nannicini e Susy Matrisciano, ha di fatto aperto le porte al professionismo sportivo femminile.
Così, a bruciapelo, un bel “era ora…” ci sta tutto, posto che siamo nel 2020 e che l’Italia era (ancora è, in effetti), tra i principali paesi europei, l’unico nel quale alle donne era precluso l’accesso al professionismo sportivo. Basti pensare che, tra le otto nazionali finaliste ai campionati del mondo di calcio femminile disputatisi questa estate, quella italiana era l’unica composta da atlete “dilettanti”.
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Professionismo calcio femminile, l’emendamento alla Legge di Bilancio
L’emendamento in questione – che diventerà legge una volta che sarà approvata la Legge di Bilancio – è di per sé molto semplice (e poco tecnico): introduce, di fatto, un esonero contributivo totale per tre anni (fino a un tetto di 8 mila euro) per tutte le società che stipuleranno con le proprie atlete contratti di lavoro sportivo ai sensi della legge n. 91/1981 (la legge che disciplina i rapporti tra società e sportivi professionisti).
L’idea, insomma, è quella di eliminare ogni alibi economico (il principale argomento dei detrattori del professionismo femminile è la pretesa (in)sostenibilità dei relativi costi rispetto al giro di affari), e di dare, attraverso questi incentivi, una spinta definitiva al muro (culturale e normativo) che ancora esiste e di fatto si frappone all’applicazione in concreto della legge n. 91/1981 alle atlete.
Professionismo calcio femminile, fatto il primo passo ora tocca alla Figc
Quello appena fatto – seppur importante ed estremamente concreto – è, in effetti, solo il primo passo, laddove il prossimo, e decisivo, dipenderà dalle singole federazioni.
Ai fini dell’applicazione della legge n. 91/1981, infatti, sono considerati “(…) sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica.”.
In soldoni, la palla passa adesso alle federazioni (tutte le federazioni, non soltanto quelle di calcio, volley, basket, e rugby, come inizialmente si era ipotizzato), che dovranno decidere, con autonomi provvedimenti, se attribuire o meno lo status giuridico “professionistico” alle loro tesserate.
A ciò – e solo a ciò – conseguirà l’applicazione anche alle atlete delle tutele (economiche, normative e, soprattutto, previdenziali e assistenziali) previste dalla legge n. 91/1981 per gli sportivi professionisti, e per le società, l’applicazione dell’esonero contributivo totale previsto dalla prossima Legge di Bilancio.
Vedremo, dunque, quel che succederà, partendo da due solide certezze: è giunta l’ora, e indietro non si torna.
Articolo a cura di Martino Ranieri, senior associate di BonelliErede