I pirati del "pezzotto": così in 5 milioni aggirano le regole

Si attende, con una certa trepidazione, il momento in cui la Lega Serie A assegnerà i diritti TV del massimo campionato italiano dal 2024 in poi, molto probabilmente fino al…

Serie A pirateria Tim

Si attende, con una certa trepidazione, il momento in cui la Lega Serie A assegnerà i diritti TV del massimo campionato italiano dal 2024 in poi, molto probabilmente fino al 2029 vista l’estensione da 3 a 5 anni. Ma c’è qualcuno a cui non importa chi sarà l’emittente, la gara si preannuncia fra DAZN e Sky ma non sono escluse sorprese, a trasmettere ogni fine settimana le immagini dai campi di Serie A.

Come riferisce l’edizione odierna del La Repubblica, da diversi anni il vero nemico delle società italiane sono proprio quei tifosi che sfruttano servizi streaming illegali per assistere alla loro squadra del cuore e per estensione per guardare le altre partite. Questi, secondo le stime, dovrebbero essere intorno a 5 milioni ogni fine settimana.

Il sistema più diffuso con cui guardare la Serie A senza aver un abbonamento né a Sky né a DAZN, le uniche emittenti autorizzate a trasmettere il campionato italiano, è il cosiddetto “pezzotto”: un decoder, non diverso da quello di Sky, senza marchio che può costare dai 20 ai 400 euro. Fin qui niente di illegale, infatti il decoder è autorizzato alla vendita e all’acquisto da parte di privati, ma è alla base per poter guardare contenuti vincolati da abbonamento.

Per permettere al proprio decoder di trasmettere le partite di Serie A, ma anche canali esclusivi di Sky Cinema per esempio, basta acquistare un abbonamento illegale, molto facile da reperire su Internet, dove abbondano servizi dal prezzo molto inferiore a quello ufficiale. Si procede al pagamento con carta di credito, con tutti i rischi di tracciabilità del caso: a quel punto il pirata fornisce un indirizzo web e una password da inserire. E il gioco è fatto.

Si accende il decoder e si hanno a disposizione tutti gli abbonamenti TV disponibili sul mercato, i canali delle TV a pagamento e anche i programmi on demand. Molto spesso, inoltre, la qualità è migliore dei servizi ufficiali e il ritardo delle immagini è anche inferiore.

Il motivo sono i sistemi di sicurezza: Sky e DAZN, quando trasmettono le partite, devono proteggere il segnale, e la tecnologia necessaria ha l’effetto di far arrivare le immagini sulle televisioni con qualche secondo di ritardo. I pirati invece non hanno bisogno di criptare il proprio prodotto in maniera particolarmente sofisticata. Anche se è sempre più frequente il fenomeno di pirati che rubano le immagini ad altri pirati. In più, a collegarsi con le tv ufficiali sono ogni domenica milioni di italiani, perché il servizio che offrono è in esclusiva. Al contrario, i servizi pirata che si spartiscono il mercato sommerso sono decine: così, ognuno consuma molta meno banda, garantendo spesso una maggiore velocità. E sempre in 4K, ossia la più alta qualità possibile.

E con l’andare degli anni gli stessi pirati dei canali TV sono diventati più sofisticati: prima trasmettevano da un computer in uno scantinato, ora si appoggiano su cloud provider stranieri che sostituiscono di fatto un luogo fisico con un luogo che esiste solo in rete, sfruttando gli accordi dell’Unione Europea sul “peering”, l’interconnessione tra i provider sparsi sul territorio europeo.

Ovviamente esistono i mezzi per fermarli con le società di telecomunicazione che potrebbero bloccare gli indirizzi IP quando si riscontrano connessione irregolari, ma il problema sono i tempi. Al momento se Sky e DAZN segnalano una sorgente irregolare che trasmette i propri contenuti e chiedono di spegnerla, non avviene nulla. Perché? «Serve un ordine del giudice» è la risposta più frequente.

L’evento sportivo ha una durata limitata e l’ordine del giudice quando arriva e dà l’autorizzazione di bloccare un indirizzo IP, la partita è bella che finita. Ma ancora più difficile bloccare i cloud provider, che tendono a non essere esattamente collaborativi, protetti dai regolamenti sul commercio elettronico: vendono un servizio permesso, non sono tenuti a conoscere cosa viene fatto tramite le proprie infrastrutture. Non solo: per aggirare le regole di intervento, alcuni operatori cloud si sono strutturati affittando pezzi della propria attività a società offshore. Che così non devono rispettare le regole europee. Quando però i servizi di cyber security riescono a trovare una breccia, quantomeno rompono la catena illegale. L’operazione Gotha della Guardia di finanza ha fermato un giro da 30 milioni di danni mensili per l’industria coinvolgendo 900.000 utenti e 22 città. E per una volta hanno pagato anche i consumatori.