Nuo Capital ed Hermes mettono le mani su Bialetti: affare da 170 milioni

Grazie al sostegno delle banche, è in dirittura d’arrivo il delisting mediante il co-investimento al 49,5% a testa, da parte di due investitori.

Bialetti stove-top moka pot coffee maker
Image credit: Depositphotos

Dopo una lunga crisi dal 2018 al 2024, causata da scelte manageriali sbagliate, Bialetti Industrie, quotata a Euronext dal 2007, sta svoltando. Grazie al sostegno delle banche, secondo quanto riportato dal Messaggero è in dirittura d’arrivo il delisting mediante il co-investimento al 49,5% a testa, da parte di due investitori.

Si tratta di Nuo Capital – non si tratta in realtà di Nuo, un fondo controllato al 50% da Exor (la holding della famiglia Agnelli-Elkann che controlla anche la Juventus), ma del family office della famiglia Cheng – e Jakyval, società lussemburghese riconducibile alla famiglia Guerrand Hermes, infine l’1% sarà dei manager.

Il prezzo dell’operazione è stato fissato a 170 milioni di euro, mentre i costi generali sono pari a 5 milioni. La somma deriverà da equity per circa 130 milioni, un debito strutturato bancario di 40 milioni di linee acquisition più circa 5 milioni di debito roll-over, un prestito che si rinnova in automatico.

Nuo e Jakyval subentrano agli attuali azionisti: Francesco Ranzoni che tramite Bialetti Investimenti e Bialetti holding, detiene il 50%, Sculptor holding 19,5%, flottante 21,3%. La governance è retta da un patto di sindacato tra Bialetti Investimenti, Bialetti holding e Illimity «in qualità di partner strategico», prorogato dal 1° dicembre 2024 al 30 aprile 2025 assieme ai prestiti obbligazionari Sculptor di 38,8 milioni e Illimity 10 milioni, che erano scaduti il 28 novembre 2024.

Bialetti che è un brand moka tra i più diffusi e affidabili, ha una presenza globale con due poli produttivi in Italia e Romania e cinque magazzini in Italia, America. Australia. Giappone, Turchia. Il fatturato – pari a circa 150 milioni di euro a fine 2024 – deriva dalla rete dei negozi nelle grandi città italiane. Negli passati, per fronteggiare la crisi, sono stati ceduti i negozi esteri non performanti.

Image creditDepositphotos