Vip sugli spalti, la ricerca del bel calcio in campo e una delle proprietà più ricche al mondo alle spalle. Il Como, nonostante la sconfitta di ieri contro la Juventus, è senza dubbio una tra le sorprese se non la sorpresa della Serie A 2024/25. Una squadra che da neopromossa sta già attirando l’interesse degli appassionati non solo in Italia ma anche all’estero, grazie al livello del gioco espresso dalla squadra allenata da Cesc Fabregas, i talenti che sono emersi come Nico Paz ma anche idee interessanti per lo sviluppo del club fuori dal terreno di gioco, puntando a sfruttare anche il brand del Lago per crescere.
I fratelli Hartono, tra le famiglie più ricche non solo di Indonesia ma del mondo intero (secondo Forbes hanno un patrimonio complessivo di oltre 50 miliardi grazie ai lori investimenti in settori quali sigarette, e-commerce, elettronica e immobili di prestigio) hanno acquistato il club nel 2019. E hanno deciso di affidare il loro investimento al manager indonesiano Mirwan Suwarso, che dallo scorso ottobre è diventato presidente del Como. La nostra testata lo ha incontrato negli uffici dello stadio Sinigaglia. Un impianto dallo stile inconfondibile soprattutto nelle parte della tribuna centrale (la cui facciata verso l’esterno ha un vincolo storico-architettonico) e che nello stesso tempo è uno dei grandi temi di sviluppo per la società lariana che guarda al futuro.
In questo colloquio con Calcio e Finanza, Suwarso ha svariato su tutti i temi legati allo sviluppo sportivo e di affari della società, spaziando dallo stadio al bilancio, dall’importanza di avere soci come gli Hartono alla strategia politica in Lega Serie A. E non tralasciando il mercato con il possibile acquisto di Theo Hernandez dal Milan nella sessione appena conclusa e alle sirene sul talento Nico Paz.
Domanda. Perché avete scelto l’Italia e in particolare perché Como?
Risposta. «Stavamo cercando un progetto per un programma televisivo. All’epoca gestivo una stazione televisiva in Indonesia e volevamo creare un programma TV che fosse una sorta di documentario sul calcio. L’Italia è sempre stata qualcosa che piaceva alla gente. In quel periodo pensavamo che fosse un tema familiare per il pubblico, grazie alla Serie A e a tutto ciò che la riguardava, perché negli anni ’90 la Serie A era molto popolare in Indonesia, quindi sarebbe stata una buona storia da raccontare».
D. E perché Como?
R. «Como è stato un caso. Stavamo cercando città vicine a Milano per motivi logistici, in modo da facilitare le riprese, ma allo stesso tempo non volevamo investire in città enormi quali Roma o simili».
D. Avete parlato con il vostro connazionale indonesiano Erick Thohir, ex proprietario dell’Inter, prima di investire in Italia?
R. «Ho parlato con il suo staff per gli aspetti pratici, ricevendo consigli su quali avvocati utilizzare e cose del genere, ma per quanto riguarda le decisioni aziendali del club, no».
D. Quali sono i vostri piani di sviluppo per il Como?
R. «Per noi è davvero importante trovare un modo per trasformare il calcio in un vero e proprio business. Il calcio è il catalizzatore, la porta d’ingresso, ma alla fine dobbiamo creare un ecosistema che possa sostenere l’attività calcistica. Quindi, dobbiamo rendere tutto sostenibile. Un club di calcio in una città di 85.000 abitanti ha enormi difficoltà a diventare sostenibile solo con il calcio, ma siamo molto fortunati a trovarci in un luogo in cui la città stessa è un brand: il Lago di Como è un marchio globale. Sarebbe sciocco da parte nostra non sfruttare questa opportunità, inserendo il calcio come parte dell’ecosistema, non al centro di esso, ma come un elemento integrante. Possiamo usare il calcio per aumentare la nostra visibilità e, allo stesso tempo, capitalizzare il brand del Lago di Como, creando attività che partano dal club ma si espandano al marchio Como nel suo complesso».

D. A quali settori guardate in particolare?
R. «Mi piace pensare al nostro modello di business in modo simile a Disney. Il parallelismo è tra Disney e Como. Per Disney, Disneyland rappresenta la divisione dei parchi a tema; per noi, il club di calcio e l’esperienza del giorno della partita sono la nostra “divisione parchi a tema”. Poi abbiamo altre otto divisioni legate a questa. C’è quella che chiamano “consumer products”, ovvero merchandising, licenze e tutto ciò che ne deriva. Abbiamo una divisione separata dedicata esclusivamente all’abbigliamento, alle scarpe e ad altri prodotti simili. Abbiamo poi una divisione media, che è una società separata. C’è anche il turismo, che per noi funziona in modo simile a Disney, che ha il suo settore viaggi e turismo».
«La nostra particolarità è il modo in cui colleghiamo l’esperienza calcistica con il turismo del Lago di Como, creando un connubio unico. Poi abbiamo le scuole e l’academy, non intesa solo come settore giovanile del club, ma come un’accademia per chi vuole giocare a calcio in estate. Ad esempio provenendo dall’America. I genitori possono andare in vacanza mentre i figli giocano a calcio. Inoltre, stiamo creando un’accademia calcistica attiva tutto l’anno per coloro che vogliono prendere il calcio seriamente, magari ottenendo una borsa di studio universitaria negli Stati Uniti o provando a diventare professionisti».
«Abbiamo anche una divisione digitale che sta sviluppando un sistema di biglietteria basato su blockchain, che sarà lanciato molto presto. Questa divisione si occupa anche della gestione dei nostri dati, che sono fondamentali per tutte le operazioni calcistiche. Infine, abbiamo una divisione FMCG (beni di largo consumo, ndr), che attualmente include la nostra birra La Comasca. Tutto ruota intorno alla creazione di un ecosistema in cui ogni elemento lavora insieme, ed è così che vediamo il nostro progetto».
D. Nello sfortunato caso in cui doveste retrocedere, i piani cambieranno?
R. «No. Il calcio ha alti e bassi, ma se facciamo bene il nostro lavoro, le persone non potranno più distinguere il Lago di Como dal Como Football Club. Una volta che saranno un’unica cosa, il nostro business sarà meno esposto ai rischi».
I PIANI PER IL NUOVO STADIO SINIGAGLIA
D. Nei giorni scorsi avete presentato, insieme al Comune, il progetto di riqualificazione del Sinigaglia. Quali sono i vostri piani per lo stadio?
R. «Lavoreremo con il Comune. La richiesta è di sviluppare questo progetto, quindi collaboreremo con l’amministrazione per riqualificare lo stadio Sinigaglia. Abbiamo abbastanza spazio qui».
D. Quale sarà la capienza?
R. «Non lo so, dipenderà da ciò che le normative ci permetteranno, ma se dovessimo ristrutturarlo, dovrà essere utilizzabile 365 giorni all’anno. Il calcio dovrà essere secondario. Ogni anno ci sono 4,8 milioni di turisti in questa zona e, se si dovesse realizzare questo progetto, credo che il Comune vorrebbe trasformare lo stadio in un centro di aggregazione per la comunità e per i turisti. Per questo motivo, non può essere utilizzato solo per 19 giorni all’anno, ma dovranno essere prese in considerazione soluzioni specifiche».
D. Come sono i rapporti con il Comune? In altre città sono complessi.
R. «Siamo a Como, non a Milano o Roma. Non penseremmo di rinnovare lo stadio o a fare cose del genere se la città non ci permettesse di farlo o non collaborasse con noi. Per noi, se avremo un nuovo stadio, benissimo, se non lo avremo, come possiamo creare entrate per migliorare? Abbiamo 4,8 milioni di turisti ogni anno e in crescita; quando sono arrivato per la prima volta erano 1,6 milioni di turisti. Cinque anni dopo sono 4,8 milioni, quindi ci deve essere un modo per generare ricavi da questo incremento di visitatori».
I CONTI DEL CLUB: OBIETTIVO SOSTENIBILITÀ
D. I bilanci del Como in questi anni si sono chiusi anche con perdite importanti (83 milioni tra il 2020 e il 2024). Entro quanto pensate di poter arrivare all’equilibrio?
R. «Il bilancio del club di calcio è in rosso perché abbiamo suddiviso le nostre operazioni in nove aziende. Forse a un certo punto le consolideremo, ma per ora gestiamo tutto separatamente. Il nostro obiettivo è raggiungere la redditività entro due anni, ma per farlo tutti gli altri brand che gestiamo dovranno avere successo. Se oggi vai in città, inizierai a vedere molto del nostro merchandising, mentre tre anni fa non avevamo nemmeno un negozio. Oggi ne abbiamo quattro in città e 485 punti vendita che distribuiscono i nostri prodotti in tutta la provincia di Como. Stiamo servendo una popolazione di 85.000 persone, oltre ai 4,8 milioni di turisti che arrivano qui ogni estate. Il nostro obiettivo è riuscire a esportare all’estero e trasformare quei 4,8 milioni di turisti stagionali in 48 milioni, 400 milioni, o qualunque sia il numero che possiamo realisticamente raggiungere».
D. Quanto è importante avere alle spalle una famiglia come gli Hartono?
R. «Penso che sia più una questione di esperienza. Il gruppo ha esperienza nella costruzione di brand: non ne ha creato solo uno, ma diversi marchi e aziende. Questo è un altro progetto che stiamo sviluppando, e stiamo cercando di farlo crescere molto più rapidamente, perché lo stiamo costruendo da zero e vogliamo portarlo alla redditività entro i prossimi 2-3 anni. Se ci riusciremo, sarà straordinario, perché arrivare alla redditività in 8 anni è un risultato davvero veloce».
«Siamo fiduciosi, perché fino ad ora, in Indonesia, tutte le nostre attività erano rivolte solo al mercato locale, mentre questo è il primo prodotto che possiamo portare sul mercato internazionale. Ad esempio, è molto interessante notare che, anche quando eravamo in Serie B, abbiamo venduto biglietti in 122 paesi. Sul nostro e-commerce, il 20% delle vendite dello scorso anno è stato all’estero e quest’anno il 12% delle vendite proviene solo dagli Stati Uniti».
«Stiamo crescendo sempre più velocemente, e non perché stiamo aumentando la pubblicità o la promozione commerciale, ma perché sta avvenendo in modo organico. Credo che questo sia dovuto al fatto che l’associazione tra il brand Lago di Como e il club di calcio sta diventando sempre più forte».

Como, dagli Hartono quasi 140 milioni di euro in poco meno di sei anni
D. Quale è la strategia dietro la presenza di tanti vip allo stadio? Tra questi si sono visti al Sinigaglia Keira Knightley, Hugh Grant e Andrew Garfield.
R. «È una coincidenza, ma è una buona coincidenza per noi. Succede in ogni stadio in Italia, ma forse non è così speciale quando la gente va a San Siro, perché è un posto così importante. Ma questa è Como: quando hai grandi nomi in una piccola città, forse la gente ci fa maggiormente caso. Ma non è qualcosa che cerchiamo di realizzare in modo aggressivo, è qualcosa che succede. Noi non abbiamo fatto nulla, loro vogliono venire soprattutto dopo che leggono di quello che sta facendo Cesc Fabregas. James Righton, il marito di Keira Knightley, è voluto venire a Como perché aveva letto di come Cesc Fàbregas avesse creato un brand calcistico emozionante, quindi voleva vedere tutto con i propri occhi. Da lì, le cose accadono».
IL LATO CALCISTICO: DAI SOCI A NICO PAZ E L’OFFERTA PER THEO HERNANDEZ
D. Quanto è importante anche l’esperienza calcistica e non solo di soci come superstar del calcio mondiale quali Henry e Varane?
R. «Molto. Ad esempio, Thierry (Henry, ndr) è molto utile nel costruire il brand, anche se si trova negli Stati Uniti o a Londra, ci aiuta sicuramente ad aumentare il nostro profilo. Varane è qui ogni mese, lavora con il nostro team educativo, con il consiglio di educazione, lavora con l’Accademia e si occupa anche del nostro settore digitale. È molto intelligente, credo che sia più intelligente di me».
«Era già un investitore prima di unirsi a noi, è un investitore nel settore della tecnologia sportiva, quindi ora che siamo insieme, stiamo lavorando per unire i nostri interessi e le nostre risorse. È molto coinvolto nell’academy, nella costruzione della scuola e nel camp estivo con la sua esperienza e anche la sua visione. Forse la gente pensa che li stiamo portando solo per i nomi, ma non è così».
«I nomi sono nomi, ma quello che possono dare in più è il loro lavoro. Sono persone di grande profilo e anche molto competenti in quello che fanno. Thierry penso sia un genio dei media, il suo show in TV (CBS Sports Golazo, dove commenta in particolare la Champions League sulla tv statunitense CBS, ndr) è molto bello. Ha sempre idee e siamo entusiasti di lavorare con loro. Inoltre, da quando Rhuigi Villaseñor (Chief Brand Officer del Como nonché fondatore e direttore creativo del marchio RHUDE, ndr) è entrato a far parte del nostro team, abbiamo molte più idee e parlano anche con il nostro ultimo acquisto, Dele Alli, che è un grande appassionato di moda. Stanno facendo qualcosa insieme anche loro. Penso che uno dei segreti della nostra crescita sia avere persone diverse che provengono da background differenti che collaborano insieme, portando nuove idee, e questo è ciò che lo rende molto speciale».
D. Quali sono i piani a livello sportivo? Vi siete prefissati di arrivare in Europa presto?
R. «Non lavoriamo in questo modo. Quello che creiamo è il nostro budget, che dipende da quanto ricavo possiamo generare, quindi non stiamo dicendo “dobbiamo andare in Europa per guadagnare questa cifra”. Al contrario l’idea è: crediamo di poter generare una certa quantità di ricavi, quindi significa che il budget deve essere questo, ed è così che lavoriamo. Non puntiamo a un obiettivo. Cerchiamo di non pensare in questo modo, pensiamo a tutto in termini di redditività: possiamo essere redditizi in 2/3 anni se gestiamo il budget per mantenerlo a questo livello».
D. A livello sportivo, invece, che obiettivi avete per i vostri talenti?
R. «Farli crescere, ovviamente. L’obiettivo è attrarre giovani talentuosi che possano giocare un calcio attraente e che possano aiutare Cesc. La gente dimentica che siamo appena stati promossi e si aspetta che giochiamo davvero bene contro tutte le grandi squadre, ma noi siamo solo all’inizio. Il nostro obiettivo è costruire una squadra attraente, in modo che quando le persone vengano qui si divertano. Se facciamo tutto nel modo giusto, il 60% del nostro nuovo pubblico verrà dai turisti che scoprono improvvisamente che c’è un club di calcio qui. Se vengono a trovarci per la prima volta e giochiamo con una difesa bassa e in modo noioso, non si interesseranno mai a Como. Il nostro obiettivo come azienda è diventare la principale destinazione di turismo calcistico nel mondo. Se vuoi diventare una destinazione premium di turismo calcistico, significa che il calcio deve essere divertente ed entusiasmante».

D. La situazione legata a Nico Paz qual è?
R. «Non abbiamo intenzione di vendere nessuno dei nostri giocatori, almeno nel prossimo futuro. Forse tra 3/4 anni, perché sarebbe ingenuo non dire che i ricavi dalle cessioni dei giocatori fanno parte del business. E non siamo a corto di soldi, siamo ben supportati».
«Nei giorni scorsi ad esempio abbiamo fatto un’offerta per uno dei giocatori più importanti di questa lega, ma il club non voleva venderlo, e abbiamo fatto un’offerta per un calciatore anch’egli importanti che il club aveva accettato di venderci, ma il giocatore non voleva venire (secondo indiscrezioni si tratta del terzino del Milan Theo Hernandez, ndr). Non abbiamo paura di fare offerte per i giocatori più importanti, ma dobbiamo assicurarci che si adatti al budget».
«Siamo in un momento in cui, se lasciassimo che il nostro ego guidasse le nostre decisioni, probabilmente faremo un’offerta per ogni giocatore del mondo, ma non lavoriamo così. Siamo governati dalla nostra forza e ciò significa che i nostri proprietari non ci supporteranno nel darci soldi mentre non stiamo generando entrate costantemente. Dobbiamo iniziare a guadagnare da soli costruendo il business».
LA LEGA SERIE A E L’IMMAGINE DEL CALCIO ITALIANO
D. Come valuta l’immagine del calcio italiano?
R. «Il calcio italiano è sottovalutato. Anche il calcio francese lo è, ed è molto sottovalutato. Quello che stiamo facendo a Como lo avremmo potuto fare anche a Bordeaux. A seconda di dove vai, la strategia appare diversa. Il calcio italiano, secondo la mia opinione, è uno sport che ha tantissimo margine di crescita, dal punto di vista calcistico, tecnologico e delle trasmissioni. Ci sono molte opportunità, è un prodotto molto forte a livello nazionale, ma forse non altrettanto forte a livello internazionale, il che significa che c’è solo spazio per crescere».
D. In questo contesto globalizzato, ci sono però anche storie come quella di Alessandro Gabrielloni, partito con voi in Serie D e protagonista della scalata fino alla massima serie.
R. «Non è solo uno dei nostri giocatori, ma è anche il nostro simbolo. È solo il quinto giocatore ad aver segnato in ogni divisione, dalla Serie D alla Serie A, quindi per noi, e in particolare per me, è un simbolo che tutto è possibile. Se ci credi, puoi farlo, quindi per noi c’è sempre un posto per Gabrielloni e per persone come lui».
D. Quanto spesso parla con la famiglia Hartono?
R. «Frequentemente. Non c’è una tempistica precisa, ma c’è almeno un colloquio settimanale, a volte anche quotidiano. Durante il calciomercato sono coinvolti, hanno un report pre-partita e post-partita. Vogliono sapere tutto su come funzionano le cose, non sono tifosi di calcio ma vogliono capire. Per farli capire, dobbiamo creare un sistema che chiunque possa comprendere e capire perché questa persona paga x e quell’altra paga y, quindi dobbiamo creare un sistema che loro comprendano, ed è per questo che i dati per noi sono estremamente importanti, perché poi le loro decisioni sono guidate dai dati, che riguardano la scelta di un giocatore o la strategia di costruzione di una squadra, e così via. Tutto ha un valore di ritorno sugli investimenti per loro».
D. Cosa pensa invece della Serie A in quanto lega?
R. «La Serie A, come lega, è piena di persone molto appassionate e coinvolte. Penso che questa sia la ricetta giusta per il successo: bisogna avere persone che sono fortemente coinvolte in questo. A volte si può essere contrari a una proposta, ma collettivamente credo che stiano sempre lavorando insieme verso la crescita. Litigi? Ci sono litigi anche in NBA e in Premier League. È la stessa cosa ovunque tu sia. Ma credo che la Serie A sia più forte, secondo me, perché i proprietari ci mettono davvero il cuore, tutti partecipano alle assemblee. Quante volte la famiglia Glazer (proprietari del Manchester United, ndr) o Kroenke (proprietario dell’Arsenal, ndr) sono venuti a un incontro della Premier League? Probabilmente mai. Ma ogni proprietario di maggioranza dei club di Serie A è lì».

D. Che impatto può esserci dal fatto che oltre la metà dei club è di proprietà straniera?
R. «Spero che tutti gli altri proprietari ci vedano non solo come stranieri, ma spero che ci vedano come uno di loro, che cerca di costruire insieme la lega. Non credo che importi da dove provengano, ciò che conta è ciò che stanno cercando di fare insieme. Se guardi a persone come, ad esempio il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, è un individuo ma pensa come una corporate. Gestisce il suo club con grande successo, probabilmente in modo poco ortodosso e peculiare, ma a livello commerciale è comunque molto astuto. Allo stesso modo, anche i Percassi, proprietari dell’Atalanta, sono molto intelligenti, gestiscono il club come un’azienda. Quindi credo che magari in passato ci fosse uno stereotipo per cui i proprietari guidano i club, ma nell’era moderna credo che molti proprietari di club di calcio stiano iniziando a diventare più corporate».
D. Quindi siete soddisfatti del vostro investimento al momento?
R. «Assolutamente, sì».