Nel lungo documento realizzato dalla Harvard Business School sul Milan, oltre alle dichiarazioni del proprietario del club rossonero Gerry Cardinale e del CEO Giorgio Furlani, si trova anche una sezione dedicata al calciomercato.
Su questo punto ha preso la parola Geoffrey Moncada, direttore tecnico del club e specialista nello scouting, rivelando anche qualche curioso retroscena sul suo recente passato in rossonero: «Abbiamo provato a ingaggiare Vinicius Jr. quando aveva 17 anni e Jude Bellingham a 20, ma non potevamo competere con il Real Madrid. È una realtà che dobbiamo accettare. Negli ultimi anni, però, abbiamo portato grandi giocatori al Milan, e per me, da ex scout, è una sfida personale individuare talenti sottovalutati e portarli a esprimersi al massimo livello».
Moncada è al Milan dal 2018, prima come responsabile scouting e poi nel ruolo di direttore tecnico, posizione che fu di Paolo Maldini: «Il direttore tecnico è il punto di raccordo tra l’allenatore, i giocatori, la parte sportiva e quella commerciale. Rispondo direttamente a Furlani, con cui mi confronto ogni giorno, spesso più volte al giorno. Cerco di condividere il maggior numero di informazioni possibile. Come stanno i giocatori? Di cosa abbiamo bisogno per il futuro? Quali contratti vanno rivisti? In cosa possiamo migliorare, sia nel reparto medico sia nel settore giovanile? Lavoriamo con una squadra di 10 scout: cinque operano in Italia e cinque all’estero, supportati da un gruppo di analisti a Casa Milan che ci aiuta a individuare i giocatori attraverso i dati».
Milan che dall’ingresso di Cardinale in società sfrutta molto il metodo Moneyball che ha portato i dirigenti rossoneri a confrontarsi spesso con l’ideatore Billy Beane: «Ci pone domande, ci propone idee e ci aiuta a trovare buoni giocatori grazie ai dati forniti da Zelus (una società di analisi dati sui calciatori, ndr). Tuttavia, la decisione finale su un giocatore non si basa mai esclusivamente sui numeri».
Ma quali sono i profili da Milan? Su questo Moncada ha le idee chiare e ha fatto l’esempio di Tijjani Reijnders: «Preferiamo prendere rischi calcolati su giovani talenti piuttosto che puntare su nomi altisonanti con ingaggi elevati. Forse questo approccio non dà risultati immediati, ma costruisce solide basi per il futuro. Reijnders, ad esempio, giocava nel campionato olandese e siamo stati gli unici a scommettere su di lui. Ti chiedi: è un grande giocatore, perché nessuno lo prende? Siamo riusciti ad acquistarlo a un ottimo prezzo. Ora è titolare da noi e gioca anche nella sua nazionale».