Ben 260mila euro in cassa solo dai biglietti del campionato 2022/23, prima della miniera d’oro della finale di Istanbul. E poi soldi dalle trasferte e dalle bancarelle fuori dal Meazza, con l’esercito di ultras interisti a difendere la piazza dagli altri venditori, soldi dal merchandising a marchio “Cn69” del negozio di Pioltello, soldi dai parcheggi.
Fiumi di denaro che solo per i tagliandi dello stadio – spiega La Repubblica nella sua edizione odierna – si avvicina a un milione all’anno, e la cui spartizione provoca liti e malumori. Fino all’omicidio a coltellate di Antonio Bellocco, uomo della ’ndrangheta, da parte di Andrea Beretta, che controlla il negozio e il marchio del tifo.
Sono il leader della Nord interista Marco Ferdico e il suo sodale Bellocco a decidere la spartizione del bottino alla fine della stagione 2023. «260 mila avanzati, 100 sono sul conto e 20mila vanno recuperati da Curva Nord, da tutti quelli che ci devono soldi…», dice Ferdico al calabrese. I due decidono di prendere 30mila a testa, ma c’è un problema. «Fare star zitto Maurino (Mauro Nepi, arrestato, ndr). Però ho un jolly nella manica, a Maurino dovevamo dargli 35, possiamo dargli 25», dice Ferdico.
In quei giorni già si pensa alla finale di Champions: l’obiettivo è consegnare 350 biglietti a ciascuno degli altri cinque uomini del direttivo. I tre li pagano 80 euro e li consegnano a 600 euro agli altri del gruppo, che a loro volta li rivendono con un ulteriore ricarico di almeno 200 euro.
Di fronte ai malumori di Francesco Intagliata (arrestato), che vorrebbe più tagliandi, Ferdico sbotta: «Franci basta… io sono per il giusto. Noi siamo tre? il biglietto te lo do a 600… costa 80, sono 520… 520 diviso 3 sono 160 euro a testa… tu invece li vendi a 800 te ne metti in tasca 200… stai guadagnando più di me». Un incasso complessivo che, al netto dell’accordo con i milanisti di spartirsi gli incassi della finale, è vicino al milione di euro.
Le partite rimangono solamente un contorno, un paravento per gli affari. «Lo sai benissimo, io non faccio le cose per lo striscione. A me non frega un emerito c…», dice Beretta a “Renatone” Bosetti, arrestato, responsabile della biglietteria. «Nessuno lavora per il popolo!», gli risponde Bosetti, diventato portavoce dopo l’omicidio Bellocco.
Il quadro che viene fuori, scrive il gip Domenico Santoro, è quello di «una sana passione piegata verso l’obiettivo di conseguire lauti profitti da tutto ciò che ruota intorno al tifo». Ne sono esempio le parole di Bellocco, che sospetta che Beretta tenga nascosta buona parte delle entrate. Si lamenta con Ferdico. «Negozio… ventimila euro più o meno, quindi sette mesi sono 140mila euro, 530 in tutto..». E poi «paninaro stadio, gruppi, festa a San Siro, le bancarelle allo stadio… minimo hai fatto 650mila euro».
E continua: «Magliette, cappellini, felpe, senza contare i giubbotti, li vende a 120 euro. E tu gli devi dire… se è così…che non guadagniamo… apriamo un negozio a Milano… lo gestisco io… ti faccio vedere come ti faccio guadagnare 300mila euro all’anno». Bellocco si dimostra ormai il dominus di conti e affari. Rappresenta a Beretta «gli ammanchi dei guadagni ma, ancor di più emerge il completo coinvolgimento negli affari lombardi della sua famiglia che, oltre a essere a conoscenza di tutti gli affari, ne controllerebbe costantemente i profitti», conclude il Gip.