I Friedkin comprano l'Everton ed entrano in Premier League: per la Roma è positivo o negativo?

Ecco le chiavi di lettura dell’acquisto della società inglese da parte della famiglia Friedkin, già proprietaria della Roma in Serie A.

Friedkin
FOOTBALL AFFAIRS
Dan e Ryan Friedkin (Foto: Andrea Staccioli/Insidefoto)

L’acquisizione (ormai probabilissima) di una quota di controllo nell’Everton da parte della famiglia statunitense dei Friedkin (proprietari sia della Roma in Italia sia del Cannes in Francia) segna un punto di discontinuità nel panorama delle multiproprietà di club.

Sinora la gran parte di queste era organizzata con un pesce pilota – come il Manchester City nel caso del City Football Group o il Red Bull Lipsia in quella della Red Bull – attorno al quale agganciare un numero svariato di squadre minori per importanza. Oppure con un modello tipo quello del fondo 777 Partners che prevede varie squadre, come il Genoa in Italia, l’Herta Berlino in Germania o lo Standard Liegi in Belgio, che però sono squadre di media dimensione senza che nessuna per ora possa ambire a vincere il campionato o una coppa europea.

Nel caso invece del gruppo che stanno creando i Friedkin non si capisce chi, tra Roma ed Everton, potrà essere il club leader (il Cannes, che milita nelle serie minori francesi, è nettamente di taglia inferiore).

A livello ufficiale il club giallorosso dovrebbe proseguire a essere il centro gravitazionale, a cui farebbero riferimento tutte le altre consorelle, compreso anche l’Everton. E le parole di alcuni giorni fa del ceo Lina Souloukou confermano la volontà dei Friedkin di rimanere a Roma per diversi anni. Però Roma ed Everton sono simili per percezione e brand e sarà interessante vedere come Friedkin riuscirà a integrare l’Everton nel suo portafoglio di investimenti.

Nel contempo, se a Liverpool e sui blog degli evertonians si nota entusiasmo per l’ingresso dei texani nel club, nella Capitale ci si domanda quale, al di là delle dichiarazioni ufficiali, potrà essere il club trainante in questa multiproprietà e chi invece dovrà esserne il gregario di lusso. Perché il punto è che entrambi questi club presentano punti di forza e di debolezza nei confronti dell’altro.

LE RAGIONI DIETRO IL FENOMENO DELLE MULTIPROPRIETA’

Prima di entrare nello specifico, è bene però analizzare i motivi dietro questo fenomeno e quali sono le principali multiproprietà in essere e, non da ultimo, come la UEFA le norma.

I principali motivi che spingono alcuni investitori verso la multiproprietà sono svariati. Tra questi figurano una migliore capacità di ottimizzare i costi tra club, creare sinergie a livello di know-how nello staff (metodi di allenamento, per esempio), ma anche sinergie in termini di promozione del brand e soprattutto a livello di settore giovanile. Si tratta nei fatti di avere quasi delle seconde squadre in cui fare crescere eventuali talenti, o bacini da cui attingere.

Non a caso si tratta di un fenomeno sempre più in via di sviluppo, che sta portando diversi gruppi a inglobare più club sotto la medesima holding.

Gli esempi più importanti a livello europeo sono:

  • City Football Group (Manchester City, Girona, Palermo e altri club in giro per il mondo)
  • RedBull (Lipsia, Salisburgo e altri club)
  • 777 Partners (Genoa, Herta Berlino, Standard Liegi, Melbourne Victory, Vasco da Gama e una quota nel Siviglia)
  • Evangelos Marinakis (Olympiakos e Nottingham Forest)
  • BlueCo (Chelsea e Strasburgo)
  • Arctos Partners (socio di Atalanta e PSG, ma non azionista di maggioranza)
  • Ineos (Manchester United e Nizza anche se nello United il patron di Ineos James Ratcliffe possiede solamente il 25% e non la maggioranza)

Gli esempi in Italia (escluso il Palermo, che non è il club di punta del City Football Group) invece sono:

  • FilmAuro (Bari e Napoli)
  • Famiglia Pozzo (Udinese e Watford)
  • RedBird (Milan e Tolosa)
  • Friedkin (Roma, Everton e Cannes)

E proprio lo sviluppo continuo di questa tendenza ha portato la UEFA a rivedere la sua norma sulle multiproprietà. Prima con un passaggio più semplice e legato al nuovo format delle tre competizioni europee per club e poi con una modifica più accomodante per evitare contrasti in caso di club che giocano la medesima competizione europea introducendo la norma sul blind trust, una terza parte indipendente supervisionata da un panel nominato dalla UEFA.

Questo non significa però che la confederazione europea abbia abbassato completamente la guardia. Per esempio, la stessa UEFA per le norme sulla multiproprietà ha impedito il passaggio di Jean-Claire Todibo dal Nizza al Manchester United, entrambi in orbita Ineos.

LO “SCONTRO” ROMA-EVERTON SUL RUOLO DI LEADER

Entrando invece nello specifico di quanto sta avvenendo in casa Friedkin, il punto, come si faceva notare, sarà capire chi tra Roma e Everton sarà il pesce pilota.

Questo perché attualmente, il club inglese ha più o meno lo stesso valore della Roma, con una similitudine anche nei numeri che rispecchiano la situazione economico-finanziaria, a parte per la posizione debitoria.

Al 30 giugno 2023, in casa Roma i debiti complessivi erano saliti a 688 milioni di euro, dei quali però quasi la metà (circa 324,4 milioni) riferiti alla proprietà. L’indebitamento finanziario netto era invece pari a -130,3 milioni di euro (senza considerare i debiti verso soci), rispetto al -237,9 milioni del 30 giugno 2022, alla luce della liquidità pari a 49,4 milioni di euro (32,8 milioni al 30 giugno 2022) e complice l’operazione di rifinanziamento del debito del gruppo, con la proprietà dei Friedkin che nel corso del 2022/23 ha rimborsato il precedente bond da 275 milioni versandone circa 96 di tasca propria e emettendo un nuovo prestito obbligazionario a valori inferiori (175 milioni), spostando quindi l’indebitamento verso la proprietà.

Il bilancio 2023 dell’Everton indica invece che il debito netto del club inglese ammontava a 330,6 milioni di sterline (390 milioni di euro circa), lasciando il club dietro solo a Tottenham, Manchester United e Brighton fino a giugno 2023. Nel frattempo, i debiti totali sono cresciuti ulteriormente e si pensa che il club ora debba quasi 550 milioni di sterline a creditori terzi (650 milioni di euro al cambio attuale), ma è evidente che la “cura Friedkin” debba ancora mostrare i suoi effetti.

L’ultimo fatturato disponibile, quello relativo alla stagione 2022/23, dice che quello della Roma è il 24° a livello europeo (277,1 milioni) e quello dei Toffees il 30° (253 milioni). Ma di diverso c’è l’effetto, nel senso che quello giallorosso ha vissuto un trend di crescita legato al percorso europeo (finale di Europa League e continui pienoni all’Olimpico), mentre quello dell’Everton è stagnante da un po’, anzi in calo.

Ed era proprio per questo che il dossier Everton era finito sulla scrivania di molti gruppi o fondi di investimento. Il club era ritenuto sotto rendimento, rispetto al suo massimo potenziale che a breve sarà nettamente alzato dal nuovo stadio, visto che il club di Liverpool sta ormai completando il trasloco dallo storico Goodison Park al nuovo Everton Stadium, che sarà situato sul molo del Bramley-Moore Dock.

se a Roma, lo stadio di Pietralata deve ancora vedere il progetto definitivo

Insomma, se a Roma, lo stadio di Pietralata deve ancora vedere il progetto definitivo, nella Merseyside sono molto avanti. L’inaugurazione dell’Everton Stadium è prevista nel 2025/26 e l’impianto sarà un gioiello di 52mila posti che è costato più o meno 1 miliardo di euro (in parte coperto da fondi pubblici a prestito agevolato). Il nuovo stadio inoltre è stato già selezionato per l’Europeo del 2028 che si terrà nel Regno Unito, a scapito dell’impianto di Anfield del Liverpool o di Old Trafford del Manchester United.

Inoltre, a giocare pro Everton c’è il fattore Premier League, una categoria che la scorsa stagione i Blues hanno mantenuto con qualche difficoltà (anche per i punti di penalizzazione comminati dalla Premier per il mancato rispetto del Fair Play Finanziario interno). La massima serie inglese lo scorso anno ha generato ricavi per 8,1 miliardi di euro, contro i 3,5 della Serie A e più nello specifico garantisce ricche risorse dai diritti tv.

Basti pensare che il club inglese incassa da questo canale più del doppio rispetto alla Roma140,9 milioni contro 68,1 milioni.

Sull’altro lato, a spingere le quotazioni del club giallorosso vi sono altri elementi.

  • In primo luogo, il nome di Roma, celebre anche negli angoli più remoti nel mondo e quindi con un potenziale di marketing unico,
  • In seconda istanza c’è una questione di competitività sportiva. Nel senso che, sebbene la Roma manchi la qualificazione in Champions League dalla stagione 2018/19, è palese come l’ipotesi che la società giallorossa centri la qualificazione tramite il campionato alla massima competizione europea (e quindi ai notevoli premi che questa distribuisce) appaia più semplice che quella per cui un pur rinforzato Everton si piazzi tra i primi quattro posti nella super competitiva Premier League.

Più discutibile è invece la questione su chi abbia più blasone. Perché se è vero che la Roma ha ottenuto una semifinale e due finali e europee nelle ultime tre stagioni, è nello stesso modo vero che il club giallorosso ha al suo attivo tre scudetti (l’ultimo nel 2000-01) e una Coppa delle Fiere nel lontanissimo 1960-61. Invece, nella sua storia l’Everton ha vinto nove volte il massimo campionato inglese, anche se gli ultimi successi sono avvenuti nel 1984-85 e nel 1986-87.

Per altro nell’anno dell’ottavo titolo cui il club di Liverpool guidato da Howard Kendall e con Neville Southall in porta alzò anche l’ormai scomparsa Coppa delle Coppe.  Non solo, ma sino almeno agli anni ottanta del secolo scorso l’Everton era considerata una grande del calcio inglese. Tanto che alla città della Merseyside era spesso associata l’idea di “city of great football” e non solo per merito del Liverpool.

Inoltre, molti evertonians non dimenticano come alle migliori squadre dei Blues degli ultimi decenni (quella degli anni ottanta) venne impedito di giocare e cercare la gloria europea in Coppa dei campioni proprio a causa dei tifosi concittadini del Liverpool, i quali causarono la tragedia dell’Heysel e la conseguente squalifica delle squadre inglesi dalle coppe internazionali dal 1985 al 1990 (il Liverpool fino al 1991).

Insomma, se è vero che Roma ha un nome e un brand mondiale, è anche vero che l’Everton ne ha uno storico da spolverare e, cosa non meno importante, ha un potenziale di incassi superiori a quelli della Roma. Pertanto, è facile ipotizzare come con il nuovo stadio e con una squadra che migliori le aspettative di classifica, il fatturato dei Toffees possa crescere in maniera sostanziale, lasciandosi alle spalle quello della società capitolina.

In questo quadro un primo indizio di come i Friedkin si vogliano muovere nella nuova situazione potrà giungere dal calciomercato che sta per iniziare. Una sessione che sul versante giallorosso vedrà l’esordio del nuovo direttore sportivo transalpino Florent Ghisolfi. E che da quanto emerge e da quanto si inizia a intuire, non sarà più improntata a grandi nomi da rilanciare (Lukaku, Dybala, Sanches, Smalling, Aouar e lo stesso Mourinho per citarne alcuni) ma su talenti giovani con i quali costruire basi solide. La Francia d’altronde è da decenni la miglior fucina di talenti a livello europeo e Ghisolfi in quel mercato è cresciuto e si è imposto.