«La situazione relativa a tutte le mie risorse personali è completamente sana». Così Yonghong Li aveva risposto, il 20 febbraio 2018, alle indiscrezioni relative alle difficoltà economiche in patria. L’allora patron e presidente del Milan, acquistato nel 2017 per 740 milioni dalla Fininvest di Silvio Berlusconi, aveva deciso di replicare con un comunicato alle notizie, con l’obiettivo di smentire i dubbi giornalistici sulla sua solidità finanziaria. A sei anni di distanza, come spiega il Corriere della Sera, ora si apprende che è solo per questo comunicato che la Procura di Milano il 29 giugno 2018 aveva indagato l’imprenditore cinese. Sul tavolo non c’era l’ipotesi di riciclaggio, ma solo quella di falso in bilancio.
Un reato per cui, come emerso nei giorni scorsi, il pm milanese Paola Biondolillo (che è titolare del fascicolo dall’ottobre 2021 a termini già scaduti per ulteriori indagini) ha chiesto all’Ufficio Gip l’archiviazione.
In particolare le indagini, partite con rogatorie internazionali ma poi schiantatesi nelle laconiche risposte asiatiche, hanno ricostruito che in cima alle catene societarie (spesso alle Isole Vergini) finanziatrici di tre caparre di 100, 100 e 50 milioni, o dei 140 e 25 milioni nel closing, c’erano o società della danarosa moglie del terzultimo proprietario del Milan prima di Elliott e RedBird, oppure istituti in teoria solidi come la banca di investimenti Huarong di Hong Kong, dietro cui però non si ha idea di chi si celasse.
«Pur a fronte di un’evidente opacità delle operazioni che hanno portato all’acquisto del Milan con l’intervento di numerosi istituti bancari esteri e fondi off shore, e senza che in molti casi sia chiaro chi fosse il “beneficial owner” dei fondi usati per l’acquisto», scrive così la Procura. Che poi sottolinea come il reato di falso in bilancio non è contestabile a Li Yonghong, che «disponeva di un’indubbia consistenza patrimoniale e senz’altro poteva fare affidamento (come in effetti avvenuto) su ampie risorse finanziarie».