La Serie A chiede aiuti, ma in 10 anni le spese per gli agenti sono raddoppiate

Il massimo campionato italiano riconosce commissioni che superano i 220 milioni di euro, mentre prova a fornire un piano di riforme al governo per ottenere misure favorevoli.

Serie A nuovo pallone
(Foto: Andrea Staccioli / Insidefoto)

Lo scontro tra il mondo del calcio e il Governo si è acceso con l’esplosione dell’emergenza Coronavirus ormai oltre quattro anni fa e non si è ancora placato. Dopo le ripetute accuse di mancati aiuti a quello che è uno dei principali comparti merceologici italiani (con un impatto sul PIL per oltre 11 miliardi, pari allo 0,63% del PIL italiano circa), tiene ora banco la questione della costituzione di una commissione che controlli i bilanci delle società professionistiche, in sostituzione della Covisoc.

Si tratta solamente del capo e della coda di una fila di battaglie che in questi anni hanno arricchito le cronache. Tra queste anche l’eliminazione del Decreto Crescita, che proprio l’attuale governo guidato da Giorgia Meloni non ha confermato. Per questo motivo il mondo del pallone chiede sostegno a gran voce, e tra le richieste più recenti vi è quella di accedere ad una percentuale legata al monte totale delle scommesse sul calcio.

Un tema che era già stato lanciato negli anni scorsi dalla stessa FIGC, che aveva richiesto a gran voce, sulla base di una risoluzione dell’Unione europea, la tutela del diritto d’autore sulle scommesse, rifacendosi al sistema francese. La richiesta della FIGC in particolare era partita in epoca Covid ed era quella di ricevere una quota pari all’1% di quanto scommesso in Italia sul calcio. Qualcosa di simile a quanto fatto dal governo che negli anni più duri della pandemia che aveva creato il “Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale” per gli anni 2021 e 2022 prelevando lo 0,5% del monte scommesse (con un tetto massimo a 40 milioni nel 2021 e 50 milioni nel 2022).

La crisi del calcio italiano nei numeri

Ma le richieste passano prima da un esame interno? Non è un mistero che negli ultimi anni il mondo del calcio stia affrontando una profonda crisi dovuta a diverse problematiche, dalle caratteristiche della governance del sistema alle difficoltà legate all’innovazione ad esempio sugli stadi, oltre a un calo dell’interesse per il calcio da parte delle nuove generazioni (questione quest’ultima comune a tutto il pallone a livello globale).

Sono tutti temi che poi hanno impattato direttamente anche sul lato economico. Visto che ad esempio nel 2021/22, secondo i dati del Report Calcio (il rapporto annuale sul calcio italiano, sviluppato dal Centro Studi FIGC in collaborazione con AREL e PwC), il calcio professionistico italiano ha registrato una perdita aggregata a 1,4 miliardi di euro, il peggior dato degli ultimi 15 anni. Una situazione complessa, con costi che superano ancora notevolmente i ricavi soprattutto a causa di stipendi per calciatori e allenatori su cui i club non sono riusciti ad intervenire con tagli corposi durante gli ultimi anni.

Sul fronte dei ricavi, per esempio nel 2021/22 nonostante la capienza limitata dal Covid in varie partite il fatturato aggregato dei club di Serie A si è attestato a quota 2,9 miliardi di euro, con il 43% derivanti dai diritti tv e il 20% dalle sponsorizzazioni, quest’ultima voce stabile negli ultimi nonostante il divieto di accordi con operatori del settore del gambling introdotto con il cosiddetto Decreto Dignità nel 2018.

Dal punto di vista dei costi, invece, nel 2021/22 si sono attestati intorno a 3,8 miliardi, di cui il 50% come stipendi dei calciatori e 25% legati agli ammortamenti. Così come i costi, non accennano a diminuire anche i debiti, con un indebitamento complessivo per la Serie A pari a 4,9 miliardi di euro (nel 2013 era pari a complessivi 3 miliardi).

Nel 2022/23 le big di Serie A hanno ridotto lo squilibrio, ma la strada verso la sostenibilità è ancora lunga. In particolare, considerando le prime nove squadre della classifica dello scorso campionato, i ricavi sono saliti del 20% (da 2,1 a 2,6 miliardi), i costi sono rimasti stabili a 2,7 miliardi mentre le perdite sono passate da 723 a 285 milioni di euro.

Resta tuttavia una crisi strutturale, accelerata dalla pandemia legata al Covid e nonostante alcuni interventi governativi come lo spalmadebiti fiscali della Legge di Bilancio per il 2023. Permangono infatti una serie di difficoltà endemiche e irrisolte. Come per esempio la scarsa attrattività del prodotto Serie A soprattutto all’estero. «Sui diritti tv internazionali non riusciamo ancora ad ottenere quanto vogliamo: noi incassiamo 200 milioni dall’estero, la Premier League arriva a 2,2 miliardi», ha detto il presidente del Milan Paolo Scaroni nei mesi scorsi. Ma la Serie A incassa anche dai diritti televisivi nazionali guadagni inferiori rispetto a dirette concorrenti europee.

Mentre sullo sfondo ci sono sempre le problematiche note legati agli stadi, vecchi e poco di proprietà. Su circa 90 stadi professionistici italiani, la cui età media è di 61 anni per i soli impianti della Serie A, il 93% è di proprietà pubblica. Questo fa si che in gran parte degli stadi, vecchi e fatiscenti, all’interno dei quali le società calcistiche non possono svolgere ulteriori attività remunerative se non quelle strettamente legate alle partite svolte. In Germania e, soprattutto, in Inghilterra, la percentuale di stadi di proprietà pubblica scende drasticamente al 40% e al 20% del totale.

La crescita delle commissioni per gli agenti

Non solo. Che una parte ingente di queste risorse esca dal sistema lo dimostra anche la crescita esponenziale di una spesa che negli ultimi dieci anni è arrivata addirittura a raddoppiare: le commissioni agli agenti. Infatti, i compensi riconosciuti a queste figure stanno continuando a salire. Basti pensare come nel 2018/19, ultima stagione completa prima della pandemia, le società di Serie A hanno speso in commissioni ben 190 milioni di euro, mentre nel 2022/23 questa cifra ha superato quota 22o milioni. Un nuovo record che, secondo le stime, verrà pareggiato dalla stagione che si sta concludendo.

Considerando gli ultimi 10 anni, il massimo campionato italiano ha visto crescere vertiginosamente le spese dei propri club verso gli agenti. Questo modus operandi ha portato a due conseguenze pressoché automatiche:

  • Riduzione delle risorse per gli investimenti: le alte spese per le commissioni limitano le risorse che le società possono investire in altri settori, come quello giovanile, o le infrastrutture;
  • Disparità tra le squadre: l’aumento delle commissioni penalizza maggiormente le squadre più piccole, creando un divario ancora più ampio con le big.

Guardando ai numeri, ecco l’ammontare stagione per stagione delle cifre spese dai club di Serie A per le commissioni agli agenti:

  • 2014/15 – 84 milioni di euro;
  • 2015/16 – 100 milioni;
  • 2016/17 – 130 milioni;
  • 2017/18 – 150 milioni;
  • 2018/19 – 190 milioni;
  • 2019/20 – 140 milioni;
  • 2020/21 – 175 milioni;
  • 2021/22 – 200 milioni;
  • 2022/23 – 220 milioni;
  • 2023/24 – 220 milioni di euro circa (stima)

Ovviamente questo trend è presente in tutte le principali leghe europee e non fa eccezione nemmeno la Serie B. Il campionato cadetto, infatti, nel 2021/22 ha toccato il proprio record negli ultimi 10 anni, quando le commissioni riconosciute agli agenti ammontavano a quasi 31 milioni. Da quella stagione, però, si procedette a un sistema di stabilizzazione che ha confermato questa cifra anche per le successive due stagioni, compresa l’ultima che vede un leggero aumento, ma comunque molto contenuto, che ha portato la cifra totale vicina ai 32 milioni.