European Super League Company e A22 da una parte, FIFA, UEFA, Liga e RFEF (la Federcalcio spagnola dall’altra). In mezzo, lo scontro sulla Superlega, o meglio sulla possibilità di creare tornei terzi che non ricadano sotto il cappello organizzativo ed economico di FIFA e UEFA. Sono questi gli schieramenti intorno alla sentenza emessa oggi dal Tribunale di Madrid, che ha dato ragione al ricorso della Superlega sulla questione.
Non si tratta di un via libera organizzativo alla Superlega, va chiarito. Lo stesso Tribunale, nelle motivazioni della sentenza che Calcio e Finanza ha potuto consultare, lo spiega fin da subito: «L’oggetto del procedimento non è valutare un’autorizzazione della Super League e se un tale progetto sia conforme o meno alle regole statutarie al momento della presentazione della causa – si legge nelle motivazioni -. Lo scopo di questi procedimenti è, in termini generali, analizzare il sistema di autorizzazione preventiva e la gestione e lo sfruttamento dei diritti di organizzazione delle competizioni calcistiche contenuti negli Statuti della FIFA e della UEFA, al fine di valutare se tale sistema comporti una manifestazione di abuso di potere di mercato da parte degli imputati e/o una restrizione della concorrenza, impedendo a terzi di intervenire in condizioni realmente competitive sul mercato».
Il Giudice Sofía Gil García spiega fin da subito chiaramente: «È già chiaro dall’analisi della legislazione su cui si basa la questione pregiudiziale che la base fattuale presentata dal ricorrente è stata verificata». E sul tema non incide nemmeno il fatto che la Superlega nel frattempo abbia cambiato idee e progetti. «La variazione del progetto Super League non influenza il presente procedimento, né viceversa. L’impossibilità di sviluppare la Super League nei termini indicati al momento del ricorso non determina una sopravvenuta mancanza di scopo». Aggiungendo poi: «In sintesi, lo scopo del procedimento è determinare se le regole che governano l’autorizzazione delle competizioni e la gestione dei diritti derivanti da esse, come implementate da FIFA e UEFA, siano conformi al diritto comunitario».
Non ci sono dubbi, spiega il giudice, nemmeno sul monopolio delle due associazioni. «Non è nemmeno contestato che gli imputati abbiano un monopolio sul mercato delle licenze e dell’organizzazione delle competizioni internazionali. Hanno il potere di regolare e controllare le organizzazioni, ma anche il potere di regolare e gestire tali competizioni, nonché il conseguente controllo tramite l’imposizione di sanzioni. La FIFA e la UEFA hanno quindi un potere normativo stabilendo le regole che determinano il processo di licenza per le competizioni; giudicano anche la conformità alle regole per il rilascio delle licenze e, se necessario, la condotta della competizione. Ma a questo va aggiunta anche la capacità stessa di organizzare le proprie competizioni».
Sentenza Superlega, l’abuso di posizione dominante
L’abuso della posizione dominante, tuttavia, non risiede nel fatto che esistano regole per l’autorizzazione proventiva di altre competizioni. «La Corte di Giustizia UE è chiara al riguardo e determina che l’esistenza di tali regole da sola non costituisce prova o evidenza di condotta abusiva. Neanche le regole sanzionatorie, essendo di natura accessoria e volte a garantire l’efficacia delle regole di autorizzazione, lo farebbero».
Tuttavia, «queste regole di autorizzazione devono essere accompagnate da “limiti, obblighi e un controllo” che escludano il rischio di sfruttamento abusivo. In particolare, devono essere soggette a criteri materiali e regole procedurali che ne garantiscono la natura trasparente, oggettiva, precisa e non discriminatoria. Inoltre, è necessario che siano rese note in modo accessibile e in anticipo rispetto alla loro applicazione. Inoltre, non potrebbe essere richiesto loro di soddisfare condizioni diverse per l’organizzazione di competizioni diverse da quelle che organizzano loro stesse».
«Al momento della presentazione della domanda non era in vigore alcuna procedura di autorizzazione», prosegue il Giudice, mentre «le norme del 2022 adottate dalla UEFA non influenzano il presente procedimento».
In particolare, l’assenza di un regolamento sulle procedure per l’autorizzazione «è grave. Ma ancor più grave, secondo il parere di questo tribunale, è l’assenza di qualsiasi criterio materiale e oggettivo che regoli o stabilisca le condizioni necessarie che devono essere valutate dall’organo autorizzativo. E che, a sua volta, consentirebbe di giudicare la decisione adottata. L’assenza di qualsiasi criterio è ciò che determina la possibile azione arbitraria, discrezionale e ingiustificata di UEFA-FIFA, senza che la sua decisione sia valida o invalida perché non è basata sulla concorrenza degli assunti o dei parametri normativi».
Secondo il Giudice, non basta che i criteri dichiarati siano quelli relativi al “merito sportivo” o alla “solidarietà”, perché si tratta di «concetti indeterminati e soggettivi. L’assenza di qualsiasi criterio determina piena libertà di valutare l’autorizzazione, cioè arbitrarietà; è impossibile esaminare se i requisiti su cui sarebbe basata un’autorizzazione siano soddisfatti o meno. Non è possibile giudicare in modo oggettivo un rifiuto di concedere un’autorizzazione sulla base della non conformità alle condizioni, quando queste non sono specificate».
Un tema che incide anche sulla giustizia sportiva, in particolare sul TAS. L’assenza di procedura, spiega il Giudice, non permette a chi si difende di poter intervenire successivamente a un primo diniego dell’autorizzazione per poterla ottenere. A questo, poi, si aggiunge l’obbligo di appellarsi al TAS, quindi una imposizione che deriva dai regolamenti della UEFA. Senza poi conisderare il fatto che il TAS sia un organo sportivo e quindi viene «ignorata la natura dell’UEFA, che agisce nell’ambito dell’attività commerciale come azienda, e la natura delle sue decisioni. Ciò determina la natura tendenziosa della regolamentazione. Il controllo che può essere effettuato è legato alla sfera sportiva; la natura commerciale delle decisioni di UEFA e FIFA viene quindi ignorata».
Per quanto riguarda le sanzioni, poi, il giudice sottolinea come il problema sia il fatto che «il rischio dell’uso arbitrario da parte di FIFA e UEFA del loro potere disciplinarenon è limitato alle ripercussioni dei suoi effetti all’interno delle competizioni che gestiscono esse stesse, ma può anche essere utilizzato, come è evidente che è stato minacciato di fare, per scoraggiare qualsiasi intenzione degli operatori di mercato che sono tentati di intrattenere relazioni con il concorrente. Così l’iniziativa dell’imprenditore che desidera entrare in competizione viene attaccata dal monopolista che non lo vuole e che usa il suo potere per ostacolarlo».
Motivazioni sentenza Superlega, la difesa della UEFA
La difesa della UEFA si basa sul fatto che «il sistema di autorizzazione preventiva sia stato istituito per il fine oggettivo di proteggere il Modello Sportivo Europeo, il principio di solidarietà, l’applicazione uniforme delle regole dello sport, il corretto funzionamento del calcio, la correttezza e l’apertura delle competizioni e il merito sportivo». Tuttavia, secondo il Giudice, viene ignorato il loro status di imprese. «È chiaro che l’organizzazione di una competizione come la Champions League non è solo di natura sportiva. Nei termini in cui è sviluppato il sistema sportivo del calcio, la mancanza di autorizzazione preventiva significa accettare l’impossibilità del suo sviluppo – e quindi dell’esercizio di un’attività economica – o l’esclusione dal sistema sportivo controllato da UEFA e FIFA, come garanti ultimi. La vasta discrezionalità dei poteri di licenza di FIFA e UEFA impone barriere all’ingresso per qualsiasi concorrente, sia esso un partecipante al sistema o una terza parte che desidera organizzare una competizione di calcio. Pertanto, la natura sportiva della loro attività non può essere usata come scusa per agire arbitrariamente nella loro veste di imprenditori sul mercato».
Dal canto suo, la Federcalcio ha aggiunto di avere autorizzato negli anni varie competizioni terze come la “Royal League”, la “Baltic League” o la “Champions Cup”, tra le altre, quindi la concorrenza non è stata eliminata. Per il Giudice, però, «non è accettabile equiparare l’autorizzazione di competizioni locali isolate all’esistenza di una concorrenza piena ed effettiva». Così come non è ammissibile in pieno la posizione di UEFA e Liga secondo cui l’attuale sistema di licenze «contribuisce alla protezione della solidarietà tra squadre e giocatori, del merito sportivo». «Non ci sono prove che vi sia un miglioramento economico e nella allocazione delle risorse dovuto al fatto che solo i convenuti organizzino le competizioni», spiega il Giudice. E anche l’attuale sistema di distribuzione dei ricavi: «L’assunzione di una giusta condivisione dei profitti è soddisfatta dal solo fatto che UEFA e FIFA condividano una grande parte dei profitti? Secondo questa corte, ciò significa che esiste una “condivisione”, ma non è possibile valutare se sia equa o meno».
Motivazioni sentenza Superlega, il tema sanzioni
Sul tema delle sanzioni, inoltre, il Giudice spiega che «la reazione di UEFA e FIFA all’annuncio della Superlega costituisce un atto contrario alla libera concorrenza, poiché mirava proprio a limitare, condizionare e impedire lo sviluppo della Superlega». Lo stop alle sanzioni verso i club, quindi, deve essere confermato visto che le azioni di UEFA e FIFA «non miravano solo a impedire lo sviluppo di un particolare progetto, ma a impedire l’introduzione di un concorrente terzo e la modifica del sistema monopolistico per l’organizzazione delle competizioni; nella misura in cui la stessa difesa è stata mantenuta durante tutto il procedimento anche se il progetto della Superlega è decaduto o almeno è stato accettato che non sarà sviluppato nei termini inizialmente proposti, il che dimostra che gli atti iniziali erano collegati all’opposizione alla modifica del sistema di autorizzazione delle competizioni da parte di concorrenti terzi».
Sul tema delle sanzioni, inoltre, il Giudice conclude: «Nella misura in cui la Superlega, nei termini originariamente stabiliti nell’istanza, ossia secondo il progetto iniziale – nei termini delineati nell’istanza stessa – che è stato abbandonato e già scartato dagli stessi promotori, le rivendicazioni in relazione a ciò devono decadere. Non è possibile imporre un divieto o una restrizione in astratto, ossia imporre un divieto futuro su qualsiasi altro progetto o modifica del progetto già presentato. Ammettere il contrario significherebbe accettare una sorta di protezione o schermatura di qualsiasi progetto di competizione calcistica presentato dai ricorrenti, il che non è accettabile. Ci troviamo di fronte a un conflitto di regole che influisce sul modello organizzativo del calcio; spetterà alle parti intervenute modificarlo e adattarlo successivamente; ciò non determina che l’oggetto della procedura sia l’autorizzazione di qualsiasi competizione, ma stabilire le basi per un sistema di libera concorrenza nell’organizzazione delle competizioni calcistiche».