Competitività, ricavi e visibilità: ecco perché per la Serie A è sbagliato cancellare il DL Crescita

I dettagli del documento che la Lega invierà al Governo con le motivazioni per cui è ritenuto un errore cancellare i vantaggi fiscali legati al DL Crescita.

Decreto Crescita niente proroga
ESCLUSIVO
(Foto: Andrea Staccioli / Insidefoto)

Minore competitività, meno ricavi (e quindi minori risorse per i vivai) e minore visibilità del campionato e delle squadre: si basa su questi elementi il documento che la Lega Serie A è pronta ad inviare al governo per dimostrare come sia un errore cancellare i vantaggi fiscali legati al cosiddetto Decreto Crescita.

In particolare, come appreso da Calcio e Finanza da fonti legali, i vantaggi fiscali sono considerati come uno strumento particolarmente importante per assicurare la Serie A in sede internazionale e quindi anche per il sostentamento del mondo del calcio italiano. Il regime fiscale infatti ha avuto quale risultato principale quello di rendere le squadre italiane più competitive sul mercato e quindi anche in campo, come dimostrato nel contesto europeo nelle ultime stagioni.

L’innalzamento della soglia a un milione di euro nel maggio 2022 ha già tuttavia portato ad una riduzione dell’uso. In particolare, guardando ai numeri, nella stagione 2023/2024 sono stati tesserati solamente 50 impatriati che hanno potuto sfruttare questo regime agevolato, rispetto ad un totale di 653 calciatori e 1.083 contratti professionistici complessivi in Serie A: il 20% dei club del massimo campionato, inoltre, non ha acquisito impatriati in questa stagione. Dati che dimostrano, secondo il documento, che il regime è applicato in misura limitata e solo per stipendi di giocatori.

L’eliminazione del regime, quindi, secondo la Lega porterebbe ad un danno ingente per quattro diversi motivi:

  • renderebbe le squadre meno competitive sul mercato, sia nei confronti degli altri top campionati come Premier League o Liga ma anche verso quei Paesi in cui sono previste agevolazioni fiscali come in Francia o in Arabia Saudita;
  • da un punto di vista economico, i maggiori costi per circa 150 milioni (si parla di oltre 17 milioni annui per i top club) porterebbe ad un effetto inverso, ovverosia che l’obbligo di tagliare i costi porterebbe anche alla necessità di ridurre tutti gli investimenti, a partire da quelli appunto sui vivai
  • la competitività porterebbe anche ad una diminuzione dei risultati in Europa e quindi conseguentemente dei ricavi, anche considerando la necessità di ridurre i costi e in particolare quelli degli stipendi. Una riduzione degli stipendi che porterebbe, quindi, anche ad un minor gettito fiscale per lo Stato, con le entrate che potrebbero ridursi notevolmente
  • infine, si ridurrebbe considerevolmente la visibilità globale della Serie A sui social e la capacità di ingaggiare le nuove generazioni: basti pensare i beneficiari del Decreto Crescita rappresentano meno di 1/3 del totale dei tesserati, ma il loro seguito vale molto di più. I primi 40 atleti beneficiari (6% dei 653 tesserati totali) valgono oltre il 50% del seguito sui social media (312 milioni di followers) di tutti i tesserati in Serie A

In conclusione, quindi l’abolizione del beneficio fiscale per gli impatriati avrebbe conseguenze ritenute “nefaste” su tutto il calcio italiano: non solo sulla Serie A e sui club, ma anche sulle altre Leghe professionistiche e sulla Lega Nazionale Dilettanti, considerando che ne risentirebbe anche il sistema di mutualità, è la posizione della Lega Serie A. Non solo, perché impatterebbe anche sul mondo dello sport in generale in Italia: il carico fiscale della Serie A è pari al 60 per cento circa dei tributi pagati all’erario dall’intero mondo dello sport ed è su questo che si basa il finanziamento statale alle federazioni.