L’ex direttore dell’area tecnica del Milan, Paolo Maldini, è tornato a parlare a sei mesi di distanza dal licenziamento da parte del club rossonero. Lo ha fatto in una lunga intervista a La Repubblica, durante la quale ha parlato del divorzio dal Milan, dell’incontro decisivo con il proprietario di RedBird Gerry Cardinale e delle differenze di visione.
«Se il club è stato venduto a 1,2 miliardi e la proprietà vuole cambiare, ne ha il diritto. Ma vanno rispettati persone e ruoli. Ho dovuto trovare un accordo per i miei diritti. L’amore per il Milan rimane incondizionato. L’informazione non viene indirizzata verso la verità: chi dice il contrario sa di mentire a sé stesso. Per fortuna mi pare che il pubblico non si faccia condizionare», ha esordito l’ex dirigente rossonero.
Sul mercato, Maldini spiega che non è «niente di più lontano dal vero che io e il Ds Massara non condividessimo obiettivi e strategie. Mai avuto, né voluto, potere di firma: nemmeno per i prestiti. Ogni acquisto era avallato da CEO e proprietà. I giocatori li abbiamo scelti noi, a volte spariva il budget. È normale a volte l’interferenza nelle scelte sportive, che spostano equilibri finanziari. È ingiusta l’accusa di non averle condivise. Per Ibrahimovic servirono tante riunioni».
Le ragioni del licenziamento e il budget per il 2023/24
Si passa poi al racconto del licenziamento: «Gerry Cardinale mi disse che io e Massara eravamo licenziati. Gli chiesi perché e lui mi parlò di cattivi rapporti con l’AD Furlani. Allora io gli dissi: ti ho mai chiamato per lamentarmi di lui? Mai. Ci fu anche una sua battuta sulla semifinale persa con l’Inter, ma le motivazioni mi sembrarono un tantino deboli. Le cosiddette “assumptions”, gli obiettivi stagionali, erano: eliminazione ai gironi di Champions, un turno passato in Europa League, qualificazione alla Champions successiva. La semifinale di Champions ha portato almeno 70 milioni di introiti in più e l’indotto record di sponsor e ticketing. L’attivo di bilancio appena approvato è relativo all’esercizio 2022/23, con le “assumptions” abbondantemente centrate».
Su Cardinale, Maldini aggiunge «che dovevamo fidarci l’uno dell’altro. Io l’ho fatto: come sia andata, è noto. Io credo che la decisione di licenziarci fosse stata presa mesi prima e c’era chi lo sapeva. Il contratto, due anni con opzione di rinnovo, mi era stato fatto il 30 giugno 2022 alle 22: troppo impopolare mandarci via dopo lo Scudetto».
Il proprietario del fondo RedBird chiedeva «di vincere la Champions. Spiegai che serviva un piano triennale. Da ottobre a febbraio l’ho preparato con Massara e con un mio amico consulente: 35 pagine di strategia sostenibile e necessità del salto di qualità, mandate a Gerry, a due suoi collaboratori molto stretti e all’AD Furlani», ma «nessuna» risposta.
Poi Maldini ripercorre le tappe della sua gestione e i passi fatti per arrivare allo Scudetto: «Nel 2018/19: squadra non giovane e poco performante. Da sei anni niente Champions, rosa da circa 200 milioni, monte ingaggi di 150. In quattro anni di ristrutturazione coi giovani: spesa di mercato al netto delle cessioni 120 milioni, 30 l’anno e 15 a sessione, valore della rosa salito a circa 500, stipendi scesi a 120 e poi per tre anni a 100, senza avere potuto rinnovare con Çalhanoglu e Kessié. E a fine stagione scorsa: tre Champions giocate di fila, scudetto dopo 11 anni, semifinale di Champions dopo 16, bilancio in attivo dopo 17. Ma se si sta sul filo, basta una stagione per rovinare il lavoro precedente».
Sul budget per la stagione 2023/24, l’ex dirigente dice che «a marzo non se n’era ancora parlato e non si può aspettare giugno per programmare il mercato. Poi, quattro giorni prima del licenziamento, Furlani mi comunicò molto imbarazzato un budget basso: io ne presi atto. Dopo la nostra partenza, il budget è addirittura raddoppiato, al netto della cessione di Tonali, e il monte ingaggi è finalmente in linea col nostro piano: deve essere diventato fonte di ispirazione».
Maldini e la stoccata al presidente Paolo Scaroni
Non manca una frecciata al presidente rossonero, Paolo Scaroni: «Mi dà fastidio come si raccontano le cose. Il Milan merita un presidente che ne faccia solo gli interessi e dirigenti che non lascino la squadra sola. Lui non ha mai chiesto se serviva incoraggiamento a giocatori e gruppo di lavoro. L’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico, ma puntualissimo in prima fila per lo Scudetto. Ho un concetto diverso di condivisione e di gruppo. Posso dire lo stesso anche rispetto ai due CEO, Gazidis e Furlani».
In chiusura, una battuta sul tema algoritmi: «Non ce n’è bisogno, per prendere Loftus-Cheek, Pulisic e Chukwueze: basta usare i soldi che merita una squadra che finalmente fattura 400 milioni. Non si possono paragonare i quattro mercati precedenti con l’ultimo, avevamo armi diverse. La sostenibilità? Con Boban e Massara è stato stimolante tagliare del 30% gli ingaggi, rinnovare la rosa e aumentarne il valore con scudetto e tre anni di Champions, dopo sette senza».