Calcioscommesse, la Procura della FIGC può riaprire il caso Izzo

Il difensore attualmente al Monza, squalificato nel 2014 per sei mesi, è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e frode sportiva a cinque anni di carcere.

Izzo processo calcioscommesse
Armando Izzo (Foto: GABRIEL BOUYS/AFP via Getty Images)

Armando Izzo, difensore classe 1992 del Monza, potrebbe dover affrontare la riapertura in sede sportiva del caso calcioscommesse che lo coinvolse nel 2016 e per cui l’anno successivo fu squalificato prima 18 mesi, sanzione successivamente ridotta a 6 mesi.

Secondo quanto riporta l’edizione odierna de Il Fatto Quotidiano, le motivazioni della condanna in primo grado in sede penale per concorso esterno in associazione mafiosa, specificatamente camorra, e frode sportiva, adesso potrebbero riaprire anche il filone sportivo per Izzo, che rischia cinque anni di carcere. Il difensore avrebbe truccato la gara fra il suo Avellino e il Modena nel 2014 favorendo così le ingenti puntate del boss del clan Accurso.

Le motivazioni svelano che il processo sportivo si è basato su una bugia. «Deposizione condizionata dal timore di eventuali ripercussioni in sede di giustizia sportiva – si legge a pagina sei – sicché la disamina dell’attendibilità dovrà tener presente tale aspetto». Gli inquirenti della FIGC, come spesso accade, al tempo della sentenza sportiva, avevano in mano tutti i fascicoli di una inchiesta chiusa da poco e non ancora approdata in tribunale per il processo penale.

Il 10 gennaio 2021 Izzo viene interrogato in aula e la versione fornita contrasta con gli elementi emersi durante le indagini. Alcuni dettagli cruciali non combaciano: come avvenne l’incontro al ristorante con Accurso, se davvero era infortunato prima di Modena-Avellino e quindi sicuro di non giocare o se invece, come ammette in aula, simulò problemi muscolari perché aveva intuito la combine. Il pm Maurizio De Marco contesta la versione fornita dal difensore attualmente in forza al Monza, l’avvocato Rino Nugnes gli chiede spiegazioni: «Perché sapevo che c’era di mezzo un processo sportivo e quindi sapevo che dicendo la verità lì mi avrebbero tagliato la testa, non avrei giocato più a calcio».

Su queste basi, la sentenza di colpevolezza arrivò nel maggio 2023 e andò anche oltre alle richieste del pubblico ministero. Nelle motivazioni si legge che «nessuno dei suoi accusatori (i pentiti del clan Accurso e i coimputati, ndr) aveva o poteva avere un plausibile interesse a inventare di sana pianta (…) gli incontri e i contatti avuti con lui (Izzo, ndr) ed è dunque provato che l’imputato fosse un soggetto a disposizione del clan».

Ora la palla passa alla giustizia sportiva, con la Procura FIGC che ha già chiesto di entrare in possesso dei vari fascicoli di indagine e ora valuta di riaprire il caso Izzo per una seconda volta, a patto che vengano riscontrati fatti nuovi, non valutati già nel 2014 quando il difensore fu squalificato per 18 mesi con pena ridotta a sei in appello.

Un tema importante è la prescrizione, che scatterebbe facendo partire il conto dalla testimonianza e non dalle motivazioni. Questo è lo scotto da pagare per avere dei processi lampo in sede sportiva, che ovviamente non possono aspettare quelli molto più lunghi in sede civile o penale, ma rischiano di arrivare a conclusioni parziali e di perdere qualche dettaglio, non di poco conto, per strada.