«Si può valutare con un metodo oggettivo il valore di un calciatore?». Una domanda che spesso si è sentita negli ultimi mesi, considerando le vicende giudiziarie legate al tema plusvalenze. Dalla Procura FIGC alle difese, infatti, tutti hanno cercato di capire se esiste davvero una metodologia per arrivare a un valore oggettivo di un calciatore sul mercato. Una strada difficile, tuttavia, anche se modelli e algoritmi non mancano, tanto che pure la FIFA nei mesi scorsi ha annunciato di voler cercare una metodologia per arrivare ad un valore il più possibile oggettivo.
Il tema resta particolare, comunque, perché non vanno dimenticate quelle che sono le normali dinamiche di mercato, anche al di fuori del calcio, tra valore e prezzo. E anche nelle aziende non calcistiche il quadro non è così lineare. «Se mi chiedono anche solo quale sia il valore di una azienda, io per richiamare da subito l’attenzione sulla complessità della materia rispondo: “uno, nessuno e centomila”», spiega a Calcio e Finanza Lorenzo Pozza, professore di accounting e principi contabili internazionali all’Università Bocconi e Founding Partner della società di consulenza Wepartner che è anche consulente tecnico per la Juventus nei processi federali sul caso plusvalenze.

«È chiaro: è una provocazione, ma è velleitario e teorico pretendere di essere in grado di esprimere in modo puntuale il valore di una azienda. Le variabili che incidono sul valore sono molteplici. E poi c’è il prezzo che è una categoria logica differente dal valore. Il prezzo dipende dalle forze contrattuali in campo, dal momentum del mercato, ecc. Inoltre valutare asset non fungibili, quali sono i giocatori, è ancora più complesso».
Si può, quindi, valutare o no un giocatore? «Tutto ciò che ha un mercato è valutabile. Naturalmente più l’oggetto della valutazione è un unicum, più la valutazione è complessa. In letteratura esistono modelli econometrici utilizzabili. Ad esempio esiste un interessante studio che, utilizzando dodici variabili caratterizzanti il singolo giocatore, è in grado di stimarne il valore. È stato costruito sulla base dell’osservazione di 2000 operazioni cash avvenute negli ultimi 10 anni nei cinque campionati principali d’Europa. Le variabili in questione sono risultate in grado di spiegare il prezzo con un livello di accuratezza dell’85%. Queste variabili sono l’età del giocatore, il ruolo, i goal segnati, gli anni di contratto residui, ecc».
«Tra valori e prezzi ci sono molteplici passaggi intermedi e fattori di disturbo. Il valore è infatti un concetto differente dal prezzo: il primo è astratto e emerge in genere da una formula razionale, il secondo invece è il risultato anche di fattori non sempre razionali, come le forze contrattuali in campo, la disponibilità di alternative, ecc. E questo vale per le aziende ma ancora di più per i giocatori, sulla cui valutazione impattano fattori specifici».
«Intanto ci sono pochi asset: i giocatori di alto livello sono relativamente pochi. Inoltresono asset unici e quindi di complessa valutazione. I prezzi poi si formano velocemente e con margini di incertezza molto elevati. Infatti, le finestre di calcio mercato sono molto brevi e caratterizzate da comportamenti a volte inaspettati. Ci si può trovare di fronte a dover sostituire il proprio centravanti in 24 ore».
La strada intrapresa resta comunque quella di andare in cerca di regole di facile applicazione e valide per tutti, anche per evitare appunto alcuni effetti distorsivi visti negli ultimi anni. Un primo intervento è stato quello della UEFA, nel luglio del 2023, che ha richiamato l’attenzione sull’applicazione del principio contabile Ias38 nelle operazioni di scambio. «Resta il fatto che in presenza di determinate condizioni risulta possibile contabilizzare le plusvalenze, in alternativa alla continuità dei valori».
Tra le soluzioni emerse in questi mesi c’è anche quella di cambiare l’inquadramento dei calciatori a livello giuridico e quindi contabile, magari in stile NBA eliminando quindi anche il diritto legato al calciatore e a cascata il tema degli ammortamenti e anche delle plusvalenze. «Può essere una soluzione seppur molto complicata, significherebbe intervenire sulla configurazione del diritto alla prestazione sportiva più che sull’aspetto prettamente bilancistico».
Va comunque detto che la soluzione delle plusvalenze gonfiate ha le gambe corte: «L’inflazione delle plusvalenze è veramente un giochino di breve periodo. Valori sopravvalutati oggi, con i relativi benefici sui parametri del financial fair play, tornano indietro domani come un boomerang, generando maggiori ammortamenti e minusvalenze in caso di cessione. Prescindendo per un momento dagli aspetti legali, è impensabile che manager minimamente responsabili possano pensare di utilizzare nella gestione aziendale logiche che determinano un danno all’impresa nell’arco di pochi anni», conclude il professor Pozza.