Rivoluzione nelle serie minori: dal 1° luglio dilettanti riconosciuti lavoratori sportivi. Ecco cosa cambia

L’analisi degli avvocati Federico Venturi Ferriolo e Lorenzo Caprara del Team Sport di LCA Studio Legale sull’impatto che avrà la riforma dello sport sul mondo del calcio dilettantistico.

Calcio dilettanti
(Photo by FRANCK FIFE/AFP via Getty Images)

Gli avvocati Federico Venturi Ferriolo e Lorenzo Caprara del Team Sport di LCA Studio Legale hanno scritto per Calcio e Finanza una analisi sulla rivoluzione che la cosiddetta riforma dello sport potrà avere per il mondo del calcio dilettantistico in Italia. 

Non è un mistero che la portata delle nuove norme potrebbe avere un impatto travolgente per il movimento calcistico dilettantistico italiano. Un mondo troppo spesso governato da logiche che sfuggono ai talvolta rigidi schemi imposti dalla normativa giuslavoristica sportiva. Un impianto normativo che fino a una decina di giorni fa era quasi integralmente contenuta all’interno della legge 91 del 1981. Una legge che, per quanto attempata, ha avuto la forza – o la (s)fortuna – di rappresentare per oltre 40 anni il pilastro della gestione dei rapporti di lavoro per il calcio italiano.

Ebbene oggi quel pilastro, se non è caduto, si è quantomeno scalfito. Che sia un bene o un male saranno solamente le future generazioni di giuristi, manager sportivi e atleti a dircelo.

In ogni caso, sicuramente il legislatore ha voluto fare un importante passo nel senso di non limitarsi a riconoscere il solo lavoro sportivo nella sua forma più elitaria – e a ben vedere minoritaria, ossia quella del professionismo, ma è voluto intervenire a regolare una delle aree in cui è più manifesta l’espressione dei valori del calcio: il dilettantismo.

Dal 1° luglio anche un calciatore che non milita nelle prime tre divisioni del calcio nostrano, potrà essere considerato a tutti gli effetti un “lavoratore sportivo”. Una conclusione a cui la FIFA, la FIFPRO e la Commissione Europea erano giunti ormai da anni, reclamando il principio secondo cui ogni calciatore che riceve un compenso superiore alle spese effettivamente sostenute è un lavoratore.

Se tale riconoscimento oggi può apparire quasi scontato pensando ai numeri e alla rilevanza della Lega Nazionale Dilettanti, sia da un punto di vista economico che politico, con il 34% delle posizioni in Assemblea Federale e 6 membri in Consiglio Federale, forse lo è meno con riferimento alle categorie inferiori, quelle che secondo alcuni romantici del pallone rappresenterebbero la vera anima del calcio italiano.

Ebbene, dal 1° luglio 2023 qualsiasi atleta, allenatore, istruttore, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico e direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo, è lavoratore sportivo. Così come peraltro lo è ogni tesserato che svolge verso un corrispettivo le mansioni rientranti tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale.

Non saranno tutti lavoratori subordinati, essendo anzi prevista una presunzione di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, al ricorrere di determinate condizioni (una durata delle prestazioni inferiore a 18 ore settimanali, esclusa la partita, e la coordinazione delle prestazioni sotto il profilo tecnico-sportivo).

Ma saranno a tutti gli effetti considerati dei lavoratori. Lavoratori dello sport e per lo sport. Se le conseguenze da un punto di vista pratico, almeno nei primi tempi, potranno non comportare uno stravolgimento del sistema, il valore simbolico di un tale riconoscimento rappresenta un vero e proprio momento di svolta per il calcio italiano, nella speranza che tale vento di novità pervada anche altre aree del movimento calcistico italiano.

E proprio in questa direzione sembrerebbe voler essersi mosso il legislatore intervenendo a regolare anche altre importanti questioni e figure come, per citarne alcuni:

  • (i) il regime fiscale e previdenziale dei dilettanti;
  • (ii) la figura del volontario sportivo – una figura che è sempre stata estremamente rilevante per il CIO e per l’organizzazione dei giochi olimpici;
  • (iii) l’apprendistato professionalizzante, strizzando l’occhio al bisogno di formare e educare i giovani calciatori nell’ambito della cosiddetta “dual career”;
  • (iv) la rateizzazione delle plusvalenze, tema più che mai rilevante alle luce delle ultime vicende giudiziarie e
  • (v) le nuove regole in materia di processo sportivo, altro tema di estrema attualità, con lo scopo di evitare in futuro casi di classifiche cambiate, anche più di una volta, in corso di stagione, nel rispetto dei principi dell’equa competizione, della tempestività delle decisioni e del giusto processo.

Su altri temi, come ad esempio sull’abolizione del vincolo sportivo, il legislatore ha dovuto fare un passo indietro, riconoscendo il valore – soprattutto economico in questo caso –di un istituto ancora oggi troppo prezioso per garantire la sostenibilità finanziaria (in alcuni casi la sopravvivenza) delle società dilettantistiche italiane.

Che la Riforma sia stata solo il calcio d’inizio per la nuova era del dilettantismo?