Mentre si è pronti ad assistere alla questione dell’eredità di Silvio Berlusconi, un’altra, legata al fondatore del gigante Luxottica Leonardo Del Vecchio, è lontana da una soluzione, nonostante l’imprenditore sia deceduto il 27 giugno del 2022.
Come riporta l’edizione odierna de Il Corriere della Sera, l’eredità di Del Vecchio, fra partecipazioni in Mediobanca, Generali e Unicredit, esprime un valore di mercato da 32 miliardi di euro. La questione legata alla successione, invece, si è subito conclusa a luglio dell’anno scorso con Francesco Milleri, delfino di Del Vecchio, nominato presidente della cassaforte di famiglia Delfin. Agli otto eredi, invece, sono andate invece il 12,5% delle quote a testa della holding che contiene la quasi totalità del patrimonio del fondatore. Il 25%, quota della cassaforte Delfin che era in mano allo stesso Del Vecchio prima della morte, è andata alla vedova Nicoletta Zampillo che ha girato la metà al figlio Rocco Basilico. L’altra parte delle quote era già in mano ai sei figli di Del Vecchio.
Per chiudere la questione serve finalizzare gli ultimi punti del testamento di Del Vecchio, da subito reso pubblico, e in tutto si tratta di tre voci in particolare: il riparto delle imposte di successione, la cui quota a carico degli eredi è stimata in circa 110 milioni; il passaggio di due case di proprietà di Delfin, valutate circa 80 milioni, a favore della signora Zampillo. Infine, il terzo punto è l’assegnazione delle azioni di Essilux, per un valore stimato in 270 milioni, a favore di Milleri, il manager che ha spinto la crescita del gruppo (passato in cinque anni da 46 miliardi di capitalizzazione a poco meno di 80, da 16,2 miliardi di ricavi a 24,5 a fine 2022, un risultato netto salito a 2,9 miliardi da 1,8 miliardi) che ha permesso la distribuzione di 1,4 miliardi di dividendi (+55%).
Secondo le volontà di Del Vecchio, tutti i sei figli dovranno saldare questi debiti nella logica che ha sempre guidato l’imprenditore, quella di una famiglia che deve decidere unita e condividere tutto. Qui però ecco che la macchina della successione si scontra con le regole del codice civile, fatte scattare dall’accettazione del testamento con beneficio di inventario da parte di Luca e Clemente, i figli più giovani frutto dell’unione con Sabina Grossi, seguiti poi da Paola e Claudio, nati dal primo matrimonio con Luciana Nervo.
Tutto questo ha reso obbligatori una mappatura dei beni rimasti all’attivo di Delfin, una procedura terminata l’8 marzo. Le disposizioni di legge richiedono quindi che si riparta da quella data. L’ultimo capitolo della successione non si chiuderà quindi a giugno ma a marzo del 2024.
L’inventario ritrae circa 460 milioni di passivo a fronte di un attivo patrimoniale vicino a 200 milioni, tra crediti vantati verso Delfin, conti correnti, valore della barca dell’imprenditore, più altro. La mappatura farebbe scattare la possibilità per i figli che hanno accettato con il beneficio di inventario di incassare l’attivo e di utilizzarlo per pagare i debiti, senza tuttavia essere tenuti a versare personalmente la parte eccedente che potrebbe valere circa 40 milioni a testa per ciascuno dei sei figli di Del Vecchio. Una somma che vale meno dell’1% del patrimonio totale di Delfin.
La procedura è in pieno svolgimento attorno al tavolo che vede riuniti famiglia, legali e management. Ad aprile è già stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale l’invito agli eredi a presentare la propria dichiarazione di credito, ex articolo 498 del codice civile, e a breve in teoria, si dovrebbero quindi concludere la liquidazione dell’eredità e il pagamento dei legati.
Il ricorso al beneficio di inventario appare legato all’assetto di governance di Delfin, il cui statuto obbliga a prendere decisioni straordinarie con l’88% dei voti, riservando invece al CdA la gestione strategica, così come voleva Del Vecchio. Non è da escludere che il compromesso ruoti attorno a una modifica leggera di questa governance che potrebbe assegnare diritti, per esempio, su eventuali operazioni che possano stravolgere la missione industriale originaria di Delfin.
La strada da percorrere l’aveva tracciata Del Vecchio stesso. Il fondatore aveva sempre auspicato una separazione netta tra famiglia-azionista e aziende, designando Milleri al vertice di Essilux e di Delfin a vita e lasciando agli eredi uno statuto della holding molto chiaro. «Non lascerei mai a un figlio un’azienda così grande – aveva detto Del Vecchio in un’intervista al Corriere – non gli darei questa condanna».