La deflagrazione del caso Juventus – con accuse, sia chiaro, che devono ancora essere dimostrate sia a livello di giustizia ordinaria che di quella sportiva – e il mesto balletto del calcio italiano per chiedere aiuti allo Stato sul tema delle tasse sospese (e non ancora pagate dalla maggior parte delle società di Serie A) non ha certo dato una bella immagine del nostro sport più popolare all’estero. Sia per quanto riguarda palcoscenico mediatico internazionale – la notizie sulle Juventus sono state le uniche a rivaleggiare con quelle sui Mondiali su gran parte delle testate internazionali– sia, e forse soprattutto, nella testa degli investitori esteri che negli ultimi tempi hanno dimostrato di guardare con molto interesse al nostro sport principale.
Se insomma, agli occhi degli osservatori di oltre confine, occorreva trovare un modo per far dimenticare che la Nazionale italiana per la prima volta nella sua storia non si era qualificata per la fase finale del Mondiale per due edizioni consecutive, questo non è sicuramente accaduto nel modo più opportuno. Per il momento il mondo del calcio italiano, e non solo quello visto come le questioni siano evidentemente generali, è in attesa del modo in cui evolveranno le due vicende.
IL GOVERNO E IL NO ALLA RATEIZZAZIONE
Per quanto riguarda la questione legata alle tasse, c’è da registrare al momento la chiusura da parte del governo Meloni sia all’ipotesi della sospensione del pagamento delle imposte sia a quella più mite della rateizzazione degli importi dovuti. Detto questo però non è però certo che non si arrivi a una qualche soluzione intermedia.
Non solo perché sia il presidente della FIGC Gabriele Gravina sia quello della Lega Serie A Lorenzo Casini stanno lavorando ad alcune ipotesi che potrebbero alleviare il peso fiscale sui club. Ma soprattutto perché se così non fosse alcuni club si troverebbero con esborsi pesanti da versare nelle casse del fisco, e, cosa ben più importante, su alcuni di questi esiste il fondato sospetto che non sarebbero in grado di pagare l’intero importo dovuto qualora non si varassero misure ad hoc intermedie. Questo a cascata avrebbe ovvie ripercussioni sia sulla stabilità aziendale di queste società sia sull’intero sistema Serie A. Si pensi al danno d’immagine arrecato al movimento nel 2015 quando scoppiò lo questione Manenti–Parma.
In questo quadro sembra comprensibile come il nuovo governo, alla sua prima manovra finanziaria, non voglia apparire morbido nei confronti di un settore nel quale molte aziende sono in costante perdita da anni e ciononostante sembrano più propense a spendere su calciatori che non a imbracciare percorsi virtuosi in termini di dinamiche societarie. E infatti lo stesso amministratore delegato dell’Inter Giuseppe Marotta ha recentemente spiegato che «per il mondo del calcio il costo del lavoro supera nettamente il 65%, che in un’azienda di acqua minerale, ad esempio, significherebbe andare incontro al default», dove ovviamente la stragrande maggioranza di questa cifra è legata agli stipendi dei giocatori.
Per il governo insomma sarebbe difficilmente spiegabile agli occhi dell’opinione pubblica l’elargizione di aiuti senza paletti o condizioni a un settore come quello del calcio che a torto o a ragione viene visto come un mondo di ricchi e vanitosi sperperoni. Tanto più alla luce dell’incontro con i sindacati di questa settimana dove sono emerse svariate tensioni con le parti sociali e il mondo del lavoro.
Per converso però non si può e non si deve nemmeno dimenticare che il calcio nel suo complesso (dagli impiegati nei club sino al sistema mediatico che lo circonda) è un settore che in Italia dà lavoro a centinaia di migliaia di persone (in termini numerici i giocatori sono soltanto una piccola parte). Ma soprattutto che il maggiore sport nazionale è un comparto che, con un impatto indiretto e indotto sul PIL italiano pari a 10,2 miliardi di euro, rappresenta una delle principali industrie del Paese. Infine, ma non certo da ultimo, per tornare a bomba sulle questioni fiscali è tra i principali contributori a livello erariale del Paese: il solo calcio professionistico ha prodotto infatti nel 2019 un gettito complessivo pari a quasi 1,5 miliardi di euro (1,476 miliardi nel 2019, +6% rispetto al 2018 e +71% rispetto al 2006), dato che equivale a circa il 70% del contributo fiscale generato dall’intero sport italiano.
È evidente quindi che in qualche modo nella dialettica tra l’esecutivo e i vertici calcistici bisognerà – e probabilmente si troverà – una soluzione intermedia, altrimenti il rischio è quello di gettare via il bambino con l’acqua sporca. E se è comprensibile, e probabilmente giusto, che il governo faccia la voce grossa spiegando apertis verbis che l’andazzo deve cambiare, è altrettanto comprensibile come non si possa chiedere un mutamento immediato, quasi impossibile per i tempi tecnici. Il messaggio insomma sembra essere: oggi vi abbiamo avvertito e in qualche maniera ora vi aiutiamo, ma la tendenza deve assolutamente mutare. Vedremo.
Quale che sarà la soluzione, una cosa è certa: il balletto tra i vertici calcistici e le istituzioni dello Stato (con i primi quasi a pietire elemosina al governo) non solo non sembra essere stata gradita alla maggioranza degli italiani, ma sicuramente non è nemmeno piaciuta a quegli investitori esteri che guardano con interesse a un possibile investimento nel calcio italiano. La maggioranza di questi sono infatti statunitensi, appartenenti a una cultura per cui generalmente meno lo Stato si occupa di alterare il libero mercato e meglio è. Ed è difficilmente spiegabile a questi signori che vedono l’ingresso dello Stato nell’economia come il fumo negli occhi perché un governo si debba occupare di aiutare uno sport che non sta in piedi. O ancora peggio perché un settore industriale debba domandare sovvenzioni all’esecutivo (si pensi che nel 2009 quando la Casa Bianca decise di aiutare il sistema automobilistico americano in crisi le critiche non furono esigue in patria, malgrado il fatto che senza quei sostegni sarebbe potuto saltare in aria il comparto industriale con il maggior numero di occupati nel paese).
Il tutto con una nota a margine molto italiana: se è vero infatti che in questo Paese si sono avuti nei decenni recenti personaggi con conflitti di interessi sesquipedali alle massima cariche dello Stato, è altrettanto vero che l’intervento di settimana scorsa del presidente della Lazio nonché neosenatore di Forza Italia Claudio Lotito durante l’audizione del presidente della Lega Serie A Lorenzo Casini alla commissione Bilancio del Senato per perorare la causa degli aiuti al calcio non sembrava proprio scevro di interessi. Se non direttamente pro domo sua quantomeno per aumentare la sua sfera di influenza tra i presidenti di Serie A.
IL CASO JUVE E I RIFLESSI SUI DIRITTI TV
Nello stesso modo non è certamente stata gradito a chi guarda il calcio italiano come possibile terreno di investimento anche il terremoto giuridico-societario che sta squassando la Juventus, uno dei club che più di altri rappresentano il nostro movimento oltre confine. Facendo un esempio estero, giusto per non essere condizionati da simpatie o antipatie per uno per l’altro club, si provi a immaginare se la stessa cosa fosse successa al Manchester United, che a torto o a ragione si può considerare come l’omologo inglese della Juventus. Quale sarebbe stato l’impatto sull’immagine della Premier League fuori dall’Inghilterra?
Anche su questo fronte occorrerà attendere (e probabilmente molto di più di quanto sarà necessario per la questione tasse) per sapere come evolverà la vicenda. Tanto più se i vari dibattimenti lasceranno Torino, come vorrebbe la Juventus, per spostarsi altrove.
A sentire i giuristi, gli esiti al momento sono i più svariati, quel che è certo, come ricordava questa rubrica in un precedente appuntamento, è che Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann che è la controllante del club bianconero, vuole farsi trovare pronte alla battaglia legale che si svolgerà su quattro fronti – giustizia ordinaria, giustizia sportiva, Consob e UEFA. E proprio per questo ha in mente di nominare nel nuovo cda della Juventus molti profili di alto standing giuridico societario.
L’interrogativo a questo punto è se alla luce di queste vicende scemerà l’interesse degli investitori internazionali per il calcio italiano. La risposta è probabilmente no.
Le motivazioni e le dinamiche sottostanti l’appetito dei fondi statunitensi per lo sport europeo infatti sono tali che non dovrebbero intaccare questo interesse. La grande liquidità a loro disposizione, la valutazione a sconto di molti club calcistici continentali rispetto ai prezzi inglesi o a quelli delle franchigie USA spingono infatti i fondi a guardare sempre con interesse al nostro mercato.
Però in economia il punto di equilibrio viene dettato dal prezzo e siccome nelle trattative di mercato qualsiasi elemento ha il suo peso, e quindi sia l’ammaccatura di immagine legata alla vicenda Juventus sia la fragilità del sistema manifestata da quella delle tasse incideranno sui prezzi cui verranno valutati i club italiani.
Infine, ma non certo da ultimo, c’è un ulteriore elemento legato alla vicenda Juventus che potrebbe imballare l’intero mondo del calcio&business italiano. Per il momento, come si accennava, nessuno è in grado di dire con certezze (anche perché prima vi deve essere un processo) quali saranno – se mai vi saranno – le sanzioni che potrebbe scontare la Juventus, nonostante questo alcuni giuristi non escludono che il club bianconero possa essere escluso dalle coppe europee o addirittura retrocesso in Serie B.
Ammesso e non concesso che questi pericoli siano reali, se si dovessero in qualche modo concretizzare quale sarebbe l’impatto nella vendita dei diritti televisivi della Serie A? Quanto potrebbero valere i nuovi pacchetti se il club dovesse subire tali sanzioni?
Per spiegarsi meglio la Lega Serie A dovrebbe iniziare presto la vendita del pacchetti per i diritti tv del campionato per le stagioni 2024/2027 ed è chiaro che un conto è se il club con il maggior numero di tifosi in Italia (quanto Inter e Milan messe insieme secondo le ultime statistiche) sarà sicuramente presente, un altro se potrebbe non esserci per almeno una stagione. Nessuna partita della Juventus nel pacchetto e nemmeno (per i tifosi delle squadre avversarie) il derby d’Italia con l’Inter o i grandi scontri con Milan, Roma, Fiorentina, Torino o Napoli, solo per citarne alcuni. E lo stesso dicasi per i pacchetti delle coppe europe.
Attenzione: qui non si vuole sottintendere che siccome la Juventus è un grande patrimonio del calcio italiano debba godere di un trattamento privilegiato nelle aule di giustizia. Tutt’altro. Questa testata è convinta che solo facendo la massima pulizia e arrivando alla massima trasparenza (anche nei confronti del pesce più grosso nel caso) il calcio italiano possa ripartire e riprendere quel ruolo di guida che ha perso negli anni scorsi.
Qui si vuole invece fare soltanto cronaca giornalistica in termini di sport&business e svelare che anche su questo fronte probabilmente il punto di equilibrio sarà il prezzo, (che sicuramente potrebbe essere rivisto verso il basso se questi pacchetti non dovessero includere per qualche stagione le partite dei bianconeri) e soprattutto che questo preoccupazioni sul valore dei prossimi pacchetti aleggiano già tra i manager che dovranno poi vendere questi prodotti.