Ivan Gazidis, l’amministratore delegato del Milan, ha rilasciato un’intervista ad Affari & Finanza de La Repubblica, parlando del closing fra Elliott e RedBird, dello Scudetto e delle strategie del club rossonero, analizzando poi anche la situazione del calcio italiano
Per quanto riguarda il passaggio di proprietà tra Elliott e Red Bird, Gazidis sottolinea: «Io sono il Ceo del Milan, siamo oggetto di questa trattativa che compete solo agli azionisti. Venditore e compratore hanno detto che il closing è programmato entro settembre e non vedo elementi tali da modificare la tempistica. Elliott garantirà un supporto finanziario? Non conosco i dettagli del negoziato. Quello che so è che Elliott ha grande fiducia nel valore e nell’expertise che Redbird può portare nel club, con l’obiettivo condiviso di riportare il Milan ai vertici del calcio europeo. Il fondo di Paul e Gordon Singer è stato un azionista solido in tempi difficili: avrebbe potuto stare fermo in attesa di un compratore e invece ha deciso di investire nella crescita».
«Red Bird ha grandi capacità nel business dello sport e un’alta reputazione internazionale. Il messaggio che ci hanno trasmesso è la volontà di continuare nel cammino che la nostra gestione virtuosa ha avviato in questi anni».
Poi l’ad traccia un bilancio sui quattro anni in rossonero: «Abbiamo ereditato una società con performance sportive deludenti e gravi difficoltà finanziarie. Abbiamo fatto scelte radicali, abbiamo ricostruito la società dalle fondamenta e l’abbiamo riportata a essere competitiva, in Italia e presto anche in Europa. Più importante ancora della strategia è il modo di fare le cose. In Italia ho trovato un approccio molto gerarchico e formale: il presidente- proprietario decide e detta, gli altri eseguono. Io ho portato un diverso stile di leadership: una squadra eterogenea, persone con background differenti, in grado di confrontare idee e prendere decisioni comuni».
«La strategia? Primo: le performance sportive. La sfida era ridurre il monte stipendi e insieme migliorare le prestazioni. Abbiamo scelto di ingaggiare calciatori giovani e farli crescere all’interno del club. Non spese, ma investimenti per il futuro. Abbiamo deciso di puntare su uno “style of football” più fisico, aggressivo, veloce, propenso all’uno contro uno. Per questo avevamo bisogno di uno staff tecnico innovativo e molto focalizzato sugli obiettivi, coraggioso e capace di reggere alle pressioni: non c’è altro business i cui risultati vengano testati e discussi due volte alla settimana».
«Oltre alle performance sportive abbiamo avviato una ricostruzione dell’azienda su fondamenta diverse. Quando sono arrivato non esisteva una Milan app: la digitalizzazione e la produzione di contenuti sono importantissimi per tenere insieme una community che comincia in Italia e finisce in Australia.
Quando sono arrivato i due terzi dei partner commerciali erano italiani, oggi i due terzi sono internazionali. Il valore delle partnership commerciali si è moltiplicato. Tutti i ricavi sono investiti nel club: nella campagna acquisti, ma anche in strutture, infrastrutture, servizi, capacità commerciali, analisi, persone È un circolo virtuoso: i ricavi alimentano gli investimenti, che producono performance migliori, che producono nuovi ricavi».
Poi Gazidis ha parlato del nuovo stadio:«Sono ottimista sulla possibilità di arrivare all’approvazione del progetto finale di uno stadio moderno, capace di accogliere famiglie, donne, bambini e di generare nuovi ricavi. Dobbiamo investire per avere un nuovo stadio, i soldi sono lì, è un architrave del nostro progetto. Sul dove e quando non possiamo fare previsioni certe. So che il sogno di molti tifosi è uno stadio tutto rossonero, ma bisogna fare i conti con la realtà di un investimento proibitivo per l’equilibrio finanziario di un solo club. Come ho detto resto ottimista su San Siro ma ovviamente dobbiamo avere anche un piano B».
Come detto, il manager ha poi dato un’analisi sulla situazione del calcio italiano ed europeo: «Dobbiamo sederci a un tavolo per parlare del futuro, di come colmare quel gap enorme tra la Premier League inglese e le altre leghe europee e recuperare le condizioni minime per una competizione sana e autentica».
«Abbiamo bisogno di un quadro finanziario stabile, credibile e valido per tutti. Il Fair play finanziario dev’essere implementato in modo “fair” e rigoroso. Al di là del livello istituzionale, i tifosi devono sapere che i club possono anche continuare a spendere più di quanto possono permettersi, ma nel medio-lungo termine questo porta al disastro. I manager che comprano calciatori a cifre sconsiderate magari potranno continuare le loro carriere altrove, ma le conseguenze del loro operato, le macerie, resteranno sulle spalle del club, e quindi dei tifosi».
«Superlega? Nello schema annunciato nei mesi scorsi, mi sembra un progetto archiviato. Ma chi dice “abbiamo vinto” sbaglia di grosso: le tensioni che hanno generato il progetto Superlega sono ancora tutte sul tavolo. I club inglesi restano dominanti, della Superlega non hanno bisogno perché la Premier League è già una Superlega. Tutti gli altri, a cominciare dai club prestigiosi con la bacheca piena di trofei e che oggi sono in gravi difficoltà, hanno la necessità assoluta di affrontare il problema. Fino a che non si troverà il modo di risolvere le tensioni presenti nel sistema, queste continueranno a crescere. È l’ora di sedersi a un tavolo, tutti insieme, per discuterne».