Con la fatidica data del 1° luglio le calciatrici della Serie A femminile sono ufficialmente atlete professioniste, al pari dei loro colleghi maschi. Un passaggio epocale per le atlete della massima serie, molte delle quali impegnate in questi giorni nel campionato europeo in scena in Inghilterra fino a fine mese.
In concomitanza con il passaggio al professionismo per il calcio femminile tricolore, Banca Ifis, nella cornice dell’Osservatorio dello Sport System, ha dedicato un approfondimento per raccontare il percorso che ha portato a questo traguardo storico e analizzarne gli aspetti salienti per calciatrici e società.
Svolta del calcio femminile – Il cammino verso il professionismo
Un traguardo figlio di un percorso lungo che Federcalcio e club hanno costruito insieme e per lungo tempo. Ripercorrendo per sommi capi la storia del calcio femminile in Italia bisogna partire dal lontano 1968, anno in cui nasce la Fic, Federazione Italiana Calcio Femminile che viene tuttavia incorporata nella Lega Nazionale dilettanti solo nel 1986. Per un’altra data storica occorre fare un balzo in avanti fino al 2015 quando la FIGC avvia il processo di integrazione tra professionismo maschile e attività calcistica femminile disponendo per i club maschili delle due massime serie, l’istituzione di una squadra femminile under 12 con almeno 20 calciatrici.
A queste si aggiungeranno poi le squadre Under 15 e Under 17.
Altro passaggio fondamentale avviene nella stagione 2017-2018 quando ai club maschili viene permesso l’acquisto del titolo sportivo (partecipazioni di controllo) di una società di calcio femminile affiliata alla FIGC nei Campionati di Serie A o B, o concludere accordi di licenza con le società affiliate alla FIGC partecipanti a Serie A o B con sede nella stessa provincia.
E si arriva all’attualità, al momento della svolta, con il riconoscimento del professionismo nel calcio femminile; prima disciplina in Italia a essere riconosciuta come tale.
Svolta del calcio femminile – cosa cambia per atlete e club
Le calciatrici potranno godere di contratti veri e propri che, oltre a un salario minimo di 26.000 euro lordi senza alcun tetto massimo, comporta tutele legali e sanitarie, come l’accesso alla maternità e il versamento dei contributi previdenziali nel Fondo Pensione Sportivi Professionisti, istituito presso L’Inps.
In estrema sintesi: viene riconosciuto ufficialmente il mestiere della calciatrice.
Per i club l’impatto non è da poco: se da una parte è innegabile che le atlete diventano un vero e proprio asset con il contratto professionistico che ne garantirà la titolarità e permetterà di aprire vere e proprie sessioni di calciomercato, grazie anche al decadimento del vincolo sportivo, sul versante economico si prevede un aumento dei costi di gestione societari più che raddoppiato che potrebbe raggiungere picchi anche del 60% se non 80% in più.
Le società dovranno infatti adottare la forma di società di capitali, versare una fideiussione di 80.000 euro e rinnovare le proprie strutture garantendo un impianto sportivo con almeno 500 posti.
Svolta del calcio femminile – La Serie A e l’Europa
La conquista raggiunta dal calcio femminile in Italia non è un esempio isolato nel mondo ma in Europa può sicuramente offrire un modello da studiare. Paesi come la Spagna dove il calcio ha lo stesso appeal – se non superiore – dell’Italia, è stata adottata una via diversa, come spiega Pedro Malabia Sanchis Director de Fútbol Femenino de La Liga. Alle calciatrici è stato concesso lo status giuridico di atlete professioniste e la massima competizione è stata demandata ai club che hanno realizzato una nuova entità, la lega professionistica, per gestirne l’organizzazione.
Discorso analogo è stato fatto in Svezia mentre in Inghilterra l’apertura al professionismo femminile è avvenuta nella stagione sportiva 2018/19. Proprio qualche anno di pregresso offre la possibilità di ipotizzare quanto avverrà in Italia nel medio termine.
I club di calcio femminile della Premier League generano ricavi superiori alle società italiane con una media che supera 1,4 milioni di euro contro i 900 mila euro dei team tricolori. Di pari passo è più consistente il costo del personale che, oltremanica pesa in media 1 milione di euro sui bilanci societari e si traduce in uno stipendio medio per le atlete di 50.000 euro contro l’attuale stipendio medio delle calciatrici tricolore di 18.333 euro.
Svolta del calcio femminile – il confronto con il volley
Tornando nei confini nazionali è di interesse una comparazione con uno tra gli sport più praticati dalla popolazione femminile italiana, il volley anch’esso dilettantistico. La FIPAV annovera infatti oltre 250.000 atlete che valgono oltre il 70% dei tesserati complessivi della Federazione della pallavolo. I ricavi medi generati dalle società di pallavolo si assestano sui 2 milioni di euro e risultano superiori ai ricavi medi dei club calcistici del 122%.
Questo maggior livello di ricavi si traduce in un maggior costo medio per gli stipendi: la differenza, tra la Serie A1 di volley e la Serie A di calcio femminile è di circa 3,5 volte, con lo stipendio medio di una pallavolista di Serie A1 che raggiunge 100.000 euro ed è oltre 5 volte superiore rispetto allo stipendio percepito da una calciatrice.
Un gap consistente ma che potrebbe andare via via assottigliandosi con l’aumento delle praticanti e ancor più degli spettatori del calcio femminile. Il calcio femminile è infatti in una fase di “investimento” nella quale sarà determinante far crescere l’appeal per incrementare i ricavi dei club e dunque i compensi per le giocatrici, al fine di innescare un meccanismo virtuoso che porti le bambine di oggi e delle generazioni future a scegliere il calcio come proprio sport dopo aver visto giocare le calciatrici di oggi, le prime a entrare nell’era del professionismo.