Il professionismo nel calcio femminile accende anche i fari sul tema della sostenibilità dal punto di vista economico. Come riportato dal Sole 24 Ore, infatti, i costi vedranno una forte crescita, considerando il diverso status delle calciatrici.
L’impatto sarà in particolare sul costo crescita: finora fino a 10mila euro di compenso per le regole fiscali dei dilettanti non è previsto un prelievo fiscale, mentre per la quota sopra questa cifra si paga con un’aliquota di circa il 24 per cento. Con il passaggio al professionismo, i compensi minimi saliranno (20.263 euro lordi a stagione dai 19 anni in su e 26.664 dai 24 anni): significa ad esempio che una calciatrice di 25 anni che percepiva 10mila euro annuali o poco più dal 1° luglio costerà quasi tre volte tanto.
Il tema, così, diventa la redditività del sistema: per i diritti tv, la Figc, tolti i costi di produzione, distribuirà ai club non più di 110mila euro, con budget per i club di Serie A che si aggirano oggi tra 1,3 e 4 milioni di euro. Il passaggio al professionismo, che imporrà di inquadrare al minimo federale anche tutti coloro che operano intorno alla squadra (per circa 25 atlete ci sono 30/40 addetti, dai magazzinieri ai dirigenti), il costo salirà secondo le stime più attendibili fra il 40 e il 50 per cento: il fabbisogno strutturale del sistema, di cui un terzo legato agli stipendi delle calciatrici, potrebbe dunque salire dai 15/18 milioni attuali a stagione 20/25 milioni.