Analisi a cura di arch. LUCA FILIDEI
L’organizzazione del quarto di finale tra Repubblica Ceca e Danimarca, squadre rivelazione di Euro 2020, appare quasi come una trasposizione simbolica di ciò che rappresenta l’Azerbaigian, Paese identificato in quella capitale, Baku, soprannominata City of Winds per gli improvvisi e intensi Khazri e Gilavar, due venti che spirano da nord e sud, come a ribadire le criticità, ma anche la resistenza di una città capace di rigenerarsi.
Perché se è ormai chiaro quanto l’Azerbaigian stia diventando uno Stato sempre più centrale nelle dinamiche europee (e non solo), sfruttando il prezioso oro nero di cui dispone, lo è altrettanto l’intensità con cui ha saputo rinascere da periodi drammatici e bui come il petrolio celato nel proprio sottosuolo. L’inaugurazione nel 2006 dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, in grado di trasportare un milione di barili al giorno, ha in fondo stabilizzato il Paese in qualità di leader negli interscambi commerciali, rendendolo, secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore nel 2020, il primo fornitore dell’Italia sin dal 2013.
Una posizione, ottenuta nonostante situazioni complicate come la recente guerra per il Nagorno-Karabakh, che ha reso l’Azerbaigian, e soprattutto Baku, una degli agglomerati urbani più attivi della contemporaneità. In tal senso, proprio i grandi eventi sportivi hanno contribuito a comunicare la nuova immagine della capitale, con il Gran Premio di Formula 1 (dal 2017) in primis: appuntamento fortemente voluto dal governo azero che, seguendo la logica di Monte Carlo, ha stabilito un suggestivo circuito cittadino.
Nonostante ciò, Baku, prima ancora dell’istituzione del GP, aveva avviato la progettazione di un grande stadio, l’attuale palcoscenico di Euro 2020, con la volontà di realizzare uno dei più importanti hub sportivi europei.
Il Baku Olympic Stadium, inaugurato nel 2015, rappresenta infatti la volontà dell’Azerbaigian di inserirsi, a pieno titolo, nel circus di eventi mondiali. Lo stadio, il più imponente del Paese, è omologato secondo i restringenti standard definiti da FIFA, UEFA (Category 4 Stadium) e IAAF.
Degli aspetti che hanno permesso l’organizzazione degli European Games 2015 (con 50 Stati e 5.898 atleti interessati), oltre alla finale di Europa League 2019 tra Chelsea F.C. e Arsenal F.C., match che ha raggiunto i 51.370 spettatori presenti.
Tuttavia, il Baku Olympic Stadium identifica un’interessante infrastrutture sportiva anche per via dello studio dei flussi, particolarmente importante non solo per ragioni si sicurezza, ma anche per garantire un fluido utilizzo da parte di ogni tipo di utente. A tal proposito, lo studio di architettura Heerim Architects and Planners si è innanzitutto concentrato sull’accessibilità, permessa attraverso l’Heydar Aliyev International Airport, la Koroğlu Station (green e red lines della Baku Metro), la stazione ferroviaria di Boyuk Shor, svariate linee di autobus e la Boyuk Shor Highway.
Quest’ultima, ad esempio, è addirittura dotata di svincoli specifici per raggiungere diverse aree dell’impianto, come quello a sud, destinato a clienti VIP o VVIP, oppure quello a est, dedicato in parte ai media. Ogni categoria dispone quindi di un accesso prestabilito, caratteristica che differenzia i flussi in modo efficiente e stabilisce, proprio per una netta separazione, diverse modalità di ingresso. Le stesse che poi si riflettono sulla distribuzione funzionale, caratterizzata da corporate boxes (in totale 127 con dimensioni variabili) al secondo e al quarto livello delle tribune est e ovest, con una visione panoramica sul terreno di gioco e una hospitality di assoluta qualità.
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E poi la concourse area laddove convergono i tre principali assi che definiscono lo spazio aperto, destinata all’accoglienza del pubblico e dotata di una exhibition hall capace di rendere l’atmosfera ancora più vibrante, comunicando, attraverso alcune installazioni, la cultura dell’Azerbaigian.
Una relazione, quest’ultima, che si riflette persino nell’involucro esterno. Principalmente assente nelle prime generazioni di stadi, il rivestimento assume attualmente un valore importantissimo, non solo per ragioni di confinamento ed energetiche, ma anche per sottolineare l’aspetto identitario di un’architettura dello sport. Nel caso specifico, i circa 600 elementi di ETFE che contraddistinguono le facciate del Baku Olympic Stadium, riprendono la trama della torre Qız qalası, simbolo della Città Vecchia e Patrimonio dell’umanità secondo l’UNESCO.
Allo stesso modo, i vari “cuscini” che compongono l’involucro, rimandano, attraverso un concept scompositivo, alla fiamma che campeggia sullo Stemma dell’Azerbaigian, un Paese soprannominato Odlar Yurdu, la Terra di Fuoco. Una strategia, utilizzata anche in diversi impianti realizzati per il Campionato Mondiale di calcio del 2022 in Qatar, che però viene coadiuvata da un’altrettanta attenta progettazione tecnologica, definita da una “doppia pelle” capace di potenziare la ventilazione passiva dell’edificio e, di conseguenza, migliorare il benessere degli spettatori riducendo il consumo di energia.
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Un aspetto che ha reso il Baku Olympic Stadium l’ennesima opera innovativa della città, facilitando la costituzione di un importante polo culturale della capitale. Perché lo sport professionistico, calcio o atletica che sia, rappresenta soltanto una parte delle potenzialità di questo impianto, in grado di configurarsi come un business centre dotato di ogni servizio, ma anche di contenere spazi per il co-working, svariati uffici, bar e ristoranti esclusivi, oltre all’Olympia fight club e alla GYM Olympiyskiy.
Idee, quasi aspirazioni, che rimandano ad una città, Baku, concentrata nel proseguire quel percorso avviato dall’indipendenza del 1991, quando alcuni quartieri, allora periferici, le conferivano il nome di “Black City” per le numerose industrie di petrolio, mentre ora rappresentano l’assoluto polo di una rigenerazione urbana che ha restituito spazi pubblici ai cittadini.
Esattamente ciò che è avvenuto all’area della “cittadella olimpica”, splendidamente occupata da uno stadio affacciato sul lago Boyukshor, distesa azzurra che è sede di storie e memorie collettive, capaci di resistere al trascorrere degli anni, dei terremoti e delle occupazioni, giungendo fino ad un presente ambizioso con un futuro ancora tutto da scrivere.