È confermata la multa da 7 milioni di euro inflitta dall’Antitrust nel febbraio 2019 a Sky Italia per mancate informazioni in merito al contenuto del pacchetto Calcio per la stagione 2018-2019; condotte commesse in relazione e in conseguenza dell’assegnazione dei diritti tv per il campionato di Calcio di Serie A per il triennio 2018-2021.
L’ha deciso il Tar del Lazio con una sentenza con la quale ha respinto un ricorso proposto dall’emittente televisiva.
Due le violazioni del Codice del consumo da parte di Sky accertate e sanzionate dall’Autorità:
non avere fornito informazioni chiare e immediate sul contenuto del pacchetto Calcio per la stagione 2018/19, lasciando intendere ai potenziali nuovi clienti che tale pacchetto fosse comprensivo di tutte le partite del campionato di serie A come nel triennio precedente;
la realizzazione di una pratica aggressiva per l’indebito condizionamento dei clienti del pacchetto “Sky Calcio”, i quali, a fronte di una rilevante ridefinizione dei suoi contenuti non sarebbero stati posti nella condizione di poter assumere liberamente una decisione in merito al mantenimento o meno dell’abbonamento.
Secondo il Tar, quanto alla prima contestazione, negli spot pubblicitari presi “sono state utilizzate espressioni che effettivamente potevano essere interpretate nel senso che l’abbonamento avrebbe contenuto, per la stagione successiva e/o per tutto il triennio 2018/2021, quantomeno tutte le partite della Serie A“.
“In ciò“, spiega il giudice amministrativo, “risiede l’intrinseca erroneità del messaggio veicolato dagli spot, e con essa l’ingannevolezza e la scorrettezza della comunicazione commerciale“.
Sul fatto poi che l’emittente abbia assicurato l’informazione sull’effettivo contenuto del pacchetto, per i giudici “la correttezza dell’informazione commerciale deve essere assicurata sin dal primo ‘contatto’“, quando il cliente deve essere messo in grado di percepire “con immediatezza, gli elementi essenziali dell’offerta, non valendo a sanare l’ingannevolezza il rinvio ad ulteriori fonti di informazione“.
Passando alla seconda contestazione, “l’argomento principale che Sky porta a sostegno della dedotta liceità di tali condotte fa leva sul fatto che l’Agcm avrebbe assunto a pratica commerciale aggressiva un comportamento meramente omissivo, consistente nel non aver consentito ai consumatori la riduzione del prezzo del servizio“, ma per il Tar tali rilievi sono infondati giacché “una condotta meramente omissiva non è certamente configurabile con riferimento ai casi in cui il consumatore è stato ricontattato dai call center, che hanno prospettato il mantenimento dei precedenti contenuti, al medesimo canone mensile, ove il consumatore avesse riconfermato l’abbonamento“.
Si tratterebbe di comportamenti “che indubbiamente possono essere qualificati quale pratica commerciale aggressiva, perché si sono tradotti in una invasione della sfera privata del consumatore, che è stato contattato telefonicamente ed al quale sono state somministrate, evidentemente intenzionalmente, false informazioni al solo scopo di farlo tornare sulla decisione di disdettare il contratto“.