Report calcio Turchia, percorso parallelo fra sport e economia del Paese

Non esiste movimento al mondo come quello turco, nel quale lo stato finanziario del calcio ha sempre seguito di pari passo quello dell’economia nazionale, rispecchiandone umori ed exploit.

Quando sul finire…

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Non esiste movimento al mondo come quello turco, nel quale lo stato finanziario del calcio ha sempre seguito di pari passo quello dell’economia nazionale, rispecchiandone umori ed exploit.

Quando sul finire degli negli anni novanta la Turchia iniziò la rincorsa che portò il Paese a diventare quello che oggi è diventata la settima economia europea, la 18° nel mondo.

Il calcio in patria stava preparando il boom registrato a cavallo tra la fine degli anni novanta e gli inizi del duemila, quando il Galatasaray di Fatih Terim vinse nello stesso anno la Coppa Uefa nella finale di Copenhagen contro l’Arsenal, e si aggiudicò la Supercoppa Europea a Monaco contro il Real Madrid; e pochi anni dopo, nel Mondiale di Giappone e Corea del Sud del 2002, la Nazionale della mezzaluna raggiunse il massimo risultato della sua storia, classificandosi al terzo posto alle spalle di Brasile e Germania.

Da quel momento, l’Europa si è accorta che esisteva un movimento a sud di Atene, e a loro volta i grandi club turchi hanno risposto ingaggiando talenti in uscita dai campionati continentali. Il trend dura ancora oggi, e giocatori del calibro di Ricardo Quaresma, Robin Van Persie, e Wesley Sneijder hanno trovato stanza a Istanbul, per operazioni di mercato più utili sull’aspetto commerciale che su quello del calcio giocato.

 

Quasi vent’anni dopo il boom del calcio turco, il campionato locale assomiglia sempre più a un “gigante dormiente”; un movimento pronto a esplodere, ma dalla miccia troppo corta.

Attribuire l’etichetta di “promessa mancata” sarebbe forse indecoroso nei confronti di una lega che nell’ultimo decennio si è affermata subito dopo i “big-five” europei, spiccando oggi come il sesto campionato europeo come fatturato, e registrando dal 2000 al 2015 un volume d’affari che è passato da 150 milioni di euro a 700, assestandosi oggi sui 580 dopo aver mandato a segno un balzo del +366%

Ma se oggi il campionato turco continua ad arrancare nei confronti dei principali tornei europei, le ragioni sono molteplici e soprattutto di natura interna. Partiamo da un’analisi geopolitica locale. Fin dalla sua fondazione, la Super lig è sempre stata affare delle “big-three” di Istanbul. In riva al Bosforo il calcio ha sempre fatto la parte del leone, al comando di un mercato in cui la vera capitale sociale e culturale ha sempre vissuto senza rivali sul suolo nazionale.

Ankara non ha mai potuto contare su un competitor di grido, mentre le new-entry Bursaspor e Trabzonspor hanno cavalcato l’onda dell’exploit dell’industria anatolica senza però riuscire a stabilire una vera e propria egemonia nel tempo, tanto che nelle ultime 33 edizioni della Super Lig, le due sono riuscite a rompere il dominio delle tre grandi d’Istanbul soltanto in due edizioni, vincendo un torneo a testa.

Dal canto loro, Galatasaray, Fenerbahce e Besiktas – club più popolari e polisportive capaci di spadroneggiare anche nel basket e nel volley – oltre a creare un monopolio interno sono anche le società che hanno fatto più strada nelle Coppe europee, senza però trovare la fortuna che ci si aspettava gli anni scorsi.

Dopo la Coppa Uefa del 1999, soltanto il Fenerbahce è riuscito a qualificarsi a una semifinale di Coppa, salvo poi farsi eliminare dal Benfica nell’Europa League 2012/2013. In Champions League le cose non sono andate meglio, e fatta eccezione per un quarto di finale del Galatasaray nel 2013, nessun’altra squadra turca è riuscita ad andare oltre gli ottavi.

Il dato che sottolinea di più il dominio delle “tre sorelle” sul resto della concorrenza è quello relativo ai diritti tv. Il 30% dei proventi è infatti diviso tra Galatasaray, Fenerbahce e Besiktas, che insieme si sono spartiti nel 2016 una torta di 200 milioni di euro. La quarta società, il Basaksehir, si è dovuto accontentare di meno di 10 milioni.

Dossier calcio turco storia economia Turchia

Uno dei più grandi problemi del calcio turco è quello relativo ai pagamenti. Dopo aver registrato perdite fino a 164 milioni in tre anni, il Galatasaray ha violato le norme del Fair Play Finanziario e dovrà restare fuori dall’Europa per due stagioni. Per squadre di questo tipo, un’esclusione così è una botta dal punto di vista finanziario, ma oggi sono altri i motivi per i quali alla Turk Telecom Arena devono preoccuparsi.

Il debito dal quale bisogna rientrare è di 129 milioni, e a tendere una mano al Cimbom per la ristrutturazione è sceso in campo il colosso bancario Denizbank.

Se il club è finito in questa situazione, uno dei motivi l’ha spiegato l’amministratore delegato Adnan Nasil grande problema del calcio turco è che i campioni che vogliono essere pagati in valuta estera, lo sport qui non muove lo stesso denaro che in Inghilterra”.

Con la Lira turca che nel 2017 ha raggiunto i minimi storici nei confronti delle grandi valute mondiali, questo problema non riguarda più soltanto il Galatasaray, che prima dell’intervento di Denizbank contava un debito quattordici volte superiore alla liquidità presente in cassa e il più alto rapporto debito-capitale alla Borsa di Istanbul, frutto di anni e anni di stipendi insostenibili per giocatori e staff.

Altri club turchi sono perfino in condizioni peggiori.

Il debito del Trabzonspor è novanta volta la liquidità presente, il Besiktas cinquantasette. La condizione dei giallorossi è inoltre aggravata da un debito con il governo turco pari a 31 milioni di euro, del quale il ministro delle finanze ha già stabilito che non ci sarà nessuna amnistia finanziaria.

La motivazione? Il calcio turco è il movimento che presenta la minor pressione fiscale in Europa. Nonostante l’imposizione al 15%, tuttavia, da queste parti c’è chi continua a eludere il fisco, a chiedere sgravi, e ad accumulare debiti per il pagamento degli stipendi. Forse la Denizbank salverà il Galatasaray del naufragio, ma in Turchia non è mai positivo che il destino di un club dipenda da una banca. Secondo il diritto societario nazionale, infatti, essendo i club turchi imprese ad azionarato popolare, queste non rispondono dello statuto di una vera e propria azienda, e quindi i debiti non ricadono direttamente sui soci. Questo, allo stesso tempo, implica però un rischio maggiore di attivare il circolo stato-istituto di credito, causando così una maggiore ingerenza politica nel tentativo di salvare la squadra.

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Un altro difetto da non sottovalutare è la disaffezione dei tifosi. I supporter turchi sono tra i più caldi del mondo. Nelle ultime quattro stagioni, tuttavia, la media spettatori è crollata, passando da 35.000 spettatori a partita, a 4.000. Il motivo risiede nell’introduzione della vendita dei biglietti on-line e soprattutto dalla nascita della contestata Passiolig: una tessera del tifoso obbligatoria per introdursi in ogni impianto, anche quello di casa, che a differenza di quella italiana prevede la cessione dei dati personali di tutti i suoi sottoscrittori. La decisione è stata adottata dal governo per la volontà di schedare tutti i frequentatori degli stadi in Turchia e per arginare fenomeni di violenza. A loro volta i tifosi volta hanno deciso di non piegarsi e seguire i match da casa o nei bar. Il nuovo format di rivendita ha fatto crollare gli incassi al botteghino – una voce del bilancio fondamentale soprattutto per i top-club – e ha soltanto alimentato il disamore del pubblico, che si era allontanato dal calcio turco dopo lo scandalo calcioscommese del 2011, quando fu scoperto un giro di partite truccate e oltre 50 persone tra presidenti, dirigenti e giocatori furono incarcerati e squalificati.

Viene ora da chiedersi quale sarà il futuro del calcio turco. La partita si gioca in campo quanto ad Ankara. Gli analisti sono d’accordo sul fatto che i prossimi due anni saranno un vero e proprio test per l’economia turca, e di conseguenza per quella del pallone. Gli ultimi noti sviluppi interni, legati al fatto che l’economia nazionale si basa in gran parte su capitali esteri, stanno mettendo a dura prova la tenuta. Inflazione e tasso di disoccupazione sono in aumento, il turismo è uno dei comparti che sta registrando l’emorragia maggiore, e non per ultimo, è arrivato anche il declassamento delle agenzie di rating Moody’s e Standard and Poor’s a BB+ e BBB, e la conversione dell’outlook da “stabile” a “negativo”. La scelta del governo di non alzare i tassi d’interesse per stimolare gli investimenti appare saggia e produttiva, ma è ancora presto per tirare le somme.

Intanto, cambi epocali si stanno registrando anche nel calcio. Dopo dieci anni lo storico sponsor Ulker, colosso della cioccolata che fa parte dell’ancora più ricca Yildiz Holding, ha annunciato la fine del suo rapporto con la Super Lig, per la quale ha sborsato in sponsorizzazioni quasi 200 milioni di dollari. Da un punto di vista di finanziario si tratta di un addio doloroso, soprattutto per i piccoli club che non possono contare su sponsorizzazioni di primo piano. La vera partita dell’immediato futuro si gioca però sui diritti televisivi.

La nuova asta 2017-2022 è stata vinta da Digiturk, piattaforma pay-tv che fa parte del giro di Bein Sports. Costo dell’operazione: 590 milioni di dollari, cifra che rende il massimo campionato turco il sesto più ricco d’Europa per quanto riguarda le entrate dai diritti tv.

La valutazione del pacchetto era stimato intorno ai 565 milioni, Digiturk è andata oltre e ha battuto la concorrenza dell’agenzia telefonica Turkcell – main-sponsor della Coppa di Turchia, e già partner di Super Lig e Nazionale per i quali dal 2002 a oggi ha già sborsato 140 milioni di dollari -, intenzionata a rilevare i diritti di mobile e internet, che saranno invece appannaggio del competitor vincente così come la trasmissione delle partite in diretta e la diffusione degli highlights dopo la gara. Questo nuovo accordo appare il 65% più vantaggioso rispetto a quello precedente, sempre stipulato con Digiturk, e gli analisti riferiscono che le maggiori entrate potranno risolvere i problemi dei club turchi con il fair play finanziario.

 

La Turchia è insieme alla Germania un Paese candidato a ospitare l’edizione 2024 dei Mondiali. Se da un lato la candidatura può assomigliare a un jolly politico, dall’altro appare più che legittima alla luce di 28 stadi attualmente in costruzione e altri 51 da costruire nel prossimo quinquennio, senza contare le opere già consegnate in questi anni come il nuovo impianto di Galatasaray e Trabzonspor, e il nuovo e avveniristico Vodafone Arena del Besiktas – stadio ultratecnologico i cui naming rights sono stati ceduti alla compagnia telefonica per una maxi-sponsorizzazione dal valore di 145 milioni di dollari -. Allo stesso tempo un’eventuale assegnazione sarebbe la miccia per risvegliare la passione dei tifosi turchi dopo le ultime delusioni in campo e fuori. Da qualsiasi lato la si guardi, il definitivo rilancio del calcio turco riparte da qui.