La LegaPro siamo noi. Un messaggio duplice: ai grandi club della Serie A che vorrebbero introdurre le loro seconde squadre a partire dal 2017-2018 in quella che dovrebbe tornare a essere la Serie C del calcio italiano, ed al presidente Gabriele Gravina, reo di una uscita intempestiva che pareva aver dato per scontata l’accettazione da parte dei club dell’introduzione delle squadre B.
Nei giorni scorsi due presidenti di Lega Pro, Giuseppe Pasini della Feralpi Salò e Walter Baumgartner del Sudtirol, hanno inviato una lettera alla Gazzetta dello Sport in cui si sono schierati apertamente contro questa riforma. Una opposizione “sui contenuti” e “per nulla politica”, rivendicano i due presidenti che chiamano Gravina al confronto in assemblea.
Per approfondire i temi – che da tempo CF – calcioefinanza.it affronta entrando nel merito sia degli aspetti positivi relativi all’introduzione delle squadre, sia alle perplessità in merito – ha contattato il presidente Pasini, che ha ribadito la volontà: “Di un confronto sui contenuti”.
Un confronto che, tuttavia, avete iniziato in maniera irrituale, rivolgendovi ad un quotidiano, la Gazzetta dello sport, anziché al diretto interessato: il vostro presidente Gabriele Gravina. Perchè?
La nostra è una scelta di trasparenza. Io e Baumgartner riteniamo che tanti presidenti abbiano la nostra stessa idea, non volevamo contattare loro, ma vedere il riscontro di una uscita pubblica, anche perchè in categoria ci conoscono e sanno chi siamo e come gestiamo le nostre società, cosa di cui non tutti si possono vantare. Oggi ho ricevuto moltissime chiamate da parte di chi condivide la nostra idea: non solo presidenti ma anche voci interne alla LegaPro. Perché la Gazzetta? Gravina ha esposto il suo discorso allo stesso giornale facendo delle fughe in avanti e dando per scontato l’accordo, che invece dovrà passare in assemblea.
Ma perchè il format, che funziona altrove, secondo voi svilisce la LegaPro italiana?
Il paragone con altri campionati è improprio, noi lavoriamo con altre dinamiche e altri regolamenti. Riteniamo che l’introduzione delle squadre B finisca per screditare il nostro mondo. Oggi mantenere una società di LegaPro costa mediamente intorno ai 3 milioni di euro. Ma si tratta di una lega senza introiti, con pochi incassi e pochi spettatori ed in cui i tanti fallimenti di società sono all’ordine del giorno. Modificare l’attuale struttura dei nostri ricavi, fatti anche dai contributi per la valorizazione dei giovani svilirebbe il nostro ruolo. A questo aggiungiamo che le squadre B sarebbero senza obiettivi sportivi: questo potrebbe evidentemente falsare il campionato.
In che modo potrebbe venire meno quella che voi chiamate “formazione territoriale”, che vi vede impegnati?
Senza sostegno economico i problemi non possono che crescere in una categoria che già ne ha tanti, che rappresenta per lo più un costo e che non attira gente visto che gli stadi sono vuoti. La LegaPro è presente su tutto il territorio italiano, se le società di serie A scendessero al nostro livello è chiaro che verrebbero meno non solo parte delle risorse ma anche parte di quei giocatori che ci vengono affidati per 1-2 anni e che noi valorizziamo.
La situazione attuale, comunque, va riformata perchè ancora troppi sono i fallimenti e i problemi economici della categoria: fin qui il modello LegaPro non è risultato vincente.
Di certo bisogna fare qualcosa. Io sono dell’opinione che 60 squadre siano troppe: 2 gironi da 20, Nord e Sud andrebbero benissimo. Per fare il professionismo bisogna avere le posibbilità ed oggi non ci sono risorse per 60 realtà: ma questo è qualcosa che Gravina non può dire perchè proprio il ritorno a 60 era alla base della sua rielezione. Io dico che è del tutto inutile che i tanti attratti dalla notorietà del calcio si avventurino in qualcosa che diventa per loro insostenbile. Chi fa calcio in LegaPro lo deve fare presentando budget, rispettando i costi e soprattutto avendo la possibilità di onorare l’impegno fino in fondo. Serve un vero Fair play finanziario della categoria.
Lei lamenta gli stadi vuoti, ma la sua piazza ha solo 12 mila persone e nel calcio italiano vediamo crescere sempre più realtà così: in principio fu Castel di Sangro, poi Chievo, Cittadella, Carpi, Sassuolo, ora l’Entella, forse domani il suo Salò. Con bacini d’utenza così limitati è inevitabile che gli stadi non si riempiano. Perchè non tornate a fare calcio nei capoluoghi?
Il ragionamento mi trova d’accordo, quando dico che a Salò faccio 7-800 spettatori di media ho detto tutto. Il punto è permettere a tutti di fare calcio dentro un quadro chiaro di regole chiare e stabili entro le quali vince il migliore. Sull’emergere di tante realtà che non fanno riferimento a capoluoghi ma a piccoli centri, tuttavia, dobbiamo dire la verità: ci sono stati in molte società dei percorsi pregressi poco chiari che hanno allontanato chi avendone la possibilità voleva investire nel calcio, ne ho parlato spesso coi colleghi. Oggi si preferisce iniziare da zero una società che rilevarne una ereditando problemi generati da gestioni precedenti. Chi ragiona come me non fa calcio per notorietà ma per passione e preferisce farlo in piccoli centri dove è ancora possibile programmare e crescere gradualmente con soddisfazioni personali superiori. Altrove si entra nell’occhio del ciclone e molti di noi hanno preferito evitare sovraesposizioni.