Come ormai è noto, nel corso dello scorso mese di dicembre, il proprietario del Manchester City – lo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyān – ha ceduto quote pari al 13% della propria società ad un gruppo di investitori cinesi.
Fino a qui non ci sarebbe nulla da dire, sennonché la somma pagata per quest’operazione è stata pari a 400 milioni di dollari. Scorrendo indietro nel tempo con la memoria, ci si accorge immediatamente che tale cifra è stata la stessa sborsata dallo sceicco nel 2008 proprio per acquisire l’intero club.
Insomma, il valore della società negli ultimi anni è di molto cresciuto: si parla complessivamente di una valutazione stimata oltre i 3 miliardi di dollari. Significa che il club – ma sarebbe meglio dire il gruppo creato sul nucleo del Manchester City – vale 7 volte quanto costò nel 2008.
Gli investitori cinesi hanno rilevato il 13% non solo del Manchester City FC, ma del City Football Group. Questa holding oltre al già citato Manchester City incorpora anche la squadra dei New York City FC (dove giocano Pirlo e Lampard per intenderci) e dei Melbourne City.
La penetrazione del brand su mercati (soprattutto quello americano, ma anche australiano e senza dimenticare Cina e India) sempre più un crescita (si parla di tassi a due cifre) e sempre più interconnessi, globali e social, è una prerogativa fondamentale per accrescere i ricavi commerciali.
Veicolare il brand City, anche attraverso società satellite, può portare degli enormi benefici in termini di conto economico. A livello pubblicitario, infatti, il City Football Group può offrire delle soluzioni assolutamente tailored-made a qualsiasi investitore che voglia veicolare il proprio messaggio pubblicitario attraverso una sponsorizzazione.
Il fatturato del Manchester City è letteralmente decollato nel corso degli ultimi 5 anni: ciò che maggiormente preme sottolineare però è l’aumento vertiginoso dei ricavi commerciali passati da 52 a 173 milioni di sterline (il piano spiegato sopra infatti non è un caso né è stato fine a se stesso).
La dipendenza dai ricavi TV, vero tallone d’Achille delle squadre italiane, è in questo caso minima poiché i ricavi commerciali costituiscono una parte molto importante del fatturato. In termini aggregati il fatturato è salito di ben 226 milioni di sterline, mentre a livello di crescita media ponderata annua (il CAGR) si può notare come ogni anno i ricavi crescono del 23%, mentre gli introiti commerciali del 26,8%.
D’altro canto, però, preme sottolineare che la crescita dei costi è stata limitata se paragonata al fatturato. Se infatti i costi fossero aumentati in maniera proporzionale o addirittura superiore ai ricavi, si sarebbe potuto tranquillamente affermare che la situazione della società sarebbe stata assolutamente negativa.
Invece a fronte di 226 milioni di fatturato incrementale, i costi sono cresciuti soltanto di circa 96 milioni: questo fatto ha permesso alla società di creare una “forbice” che ha addirittura garantito un utile netto di 10 milioni nell’ultimo esercizio.
Interessante notare anche l’andamento degli ammortamenti: il valore è stabile ed uguale a quello della prima stagione di Mansour alla guida dei citizens. Tuttavia questo dato non tiene conto degli ultimi investimenti effettuati in estate (Sterling, Otamendi, De Bruyne).
L’incremento del fatturato e l’attenzione ai costi ha permesso al City di avvicinarsi a quei parametri richiesti dalla UEFA nell’ambito del FFP: 70% di incidenza del costo di gestione allargato (stipendi + ammortamenti) rispetto al fatturato al netto delle plusvalenze.
Non sono mancati i punti critici.
Ma dopo la sanzione del Fair Play Finanziario del 16 maggio 2014 il club che prevedeva per il 2014/15 la possibilità di un break-even deficit al massimo di 10 milioni di euro il club ha chiuso addirittura il bilancio in utile: a dimostrazione di come, dietro gli investimenti fatti c’era una società che stava generando ricavi crescenti.
Certo, la sponsorizzazione da 400 milioni di sterline in 10 anni dell’Etihad al momento della stipula appariva sproporzionata, ma la massa di ricavi complessiva oggi giustifica pienamente questo sforzo se comparato con quello degli altri club europei dal maggiore fatturato.
Come si evince dalla tabella sottostante, poi, l’incidenza del costo del lavoro è dimezzata rispetto al 2009 e alla luce del fatturato incrementale previsto per l’esercizio corrente (nuovo contratto diritti TV Premier League, miglior risultato in Champions – almeno non è stato pescato il Barcellona agli ottavi), tale rapporto dovrebbe abbondantemente scendere sotto il 70%.
Il capitale investito è stato sicuramente un punto di partenza senza il quale difficilmente il Manchester City avrebbe potuto ottenere i risultati che ha avuto nel corso delle ultime stagioni.
Tuttavia la sostenibilità del business e la prospettiva di lungo periodo sono garantite dal grado di abilità del management: se alla base di tutto c’è unprogetto, un’ottica non solamente puntata al presente ma capace di dare ampio respiro alle scelte strategiche effettuate dalla proprietà, l’apporto di capitale non è altro che un acceleratore del circolo virtuoso.
In sostanza se un club è ben amministrato, le ingenti risorse iniettate nella macchina non faranno altro che migliorarne le prestazioni; d’altro canto invece se la macchina non funziona perfettamente perché ad esempio serve troppa “benzina” per farla funzionare (es. spese per la gestione operativa fuori controllo o oneri finanziari troppo elevati), serve dare una ritoccata al serbatoio che potrebbe avere delle perdite.
Milan e Inter, le ultime due squadre italiane a vincere la Champions League, al momento dell’apice del loro successo non hanno saputo sfruttare la posizione di leader per godere delle rendite di posizione derivanti dalla posizione stessa e non sono riuscite ad imporre il proprio dominio in Europa.
Probabilmente la gestione prettamente familiare, con investimenti personali ed una politica più volta a rimandare i problemi piuttosto che affrontarli (gli anni di mercato a parametro zero del Milan o gli oltre 1200 milioni di Euro di equity versati da Moratti nell’Inter per coprire le falle di una gestione più di cuore che di prospettiva), ha condizionato molto le scelte importanti e di “rottura col passato” che andavano fatte ed il relativo stallo ha condizionato la gestione di queste società negli ultimi anni, facendo perdere terreno nei confronti dei competitor Europei.
Ben inteso, nulla è perduto. Ma la politica di lacrime, sangue e restrizione (ricordando che è difficilissimo aumentare il fatturato contraendo i costi, così come in politica è difficilissimo aumentare il PIL con una politica restrittiva) che le nostre squadre stanno affrontando in questo periodo, è solamente una questione di scelte strategiche sbagliate che andavano effettuate quando il costo per implementarle sarebbe stato notevolmente inferiore ad oggi.
Se per i presidenti italiani si è sentito spesso parlare dei club calcistici come di “giocattoli” nelle loro mani, quel che la proprietà qatariota ha fatto col City è assolutamente diverso: si è trattato di una vera e propria strategia di diversificazione degli investimenti, capace di dare grande solidità all’intero impianto del club.