Il presidente dell’Uefa, Michel Platini, nel suo messaggio di fine anno è stato perentorio: il Fair Play Finanziario potrà pure essere una misura impopolare per le società calcistiche e i loro tifosi, sempre affamati di nuovi campioni e nuove vittorie a prescindere dalla situazione finanziaria del club, ma è una misura necessaria “per garantire l’esistenza a lungo termine del calcio”.
Parole, quelle dell’ex campione della Juventus, che non lasciano intravedere sconti nei confronti di quei club che, nei prossimi mesi, quando l’Uefa dovrà assegnare le licenze per partecipare alla Champions e all’Europa League 2014/2015, non avranno centrato gli obiettivi previsti dal regolamento sul Financial Fair Play, a partire dalla cosiddetta “break-even rule”.
Questa regola, come è ormai noto, prevede che, in fase di prima applicazione, possano accedere alle prossime competizioni europee solo quei club che negli esercizi conclusi rispettivamente nel 2012 e nel 2013, non abbiano registrato una perdita cumulata superiore ai 5 milioni di euro o ai 45 milioni, nel caso in cui gli azionisti si facessero carico di ripianarla.
Negli anni seguenti, poi, questo tetto si abbasserà ulteriormente: per partecipare alle coppe nel 2015/2016 i club, sempre che gli azionisti si facciano carico della perdita, non dovranno superare i 30 milioni di rosso nei tre bilanci precedenti. Mentre per concorrere alla edizione 2018-19 la perdita consentita nei tre rendiconti precedenti sarà solo di 5 milioni.
Obiettivi importanti da raggiungere, specie per quei club che negli anni passati hanno costruito le loro vittorie sul campo più sulle risorse di un presidente mecenate, pronto a farsi carico delle ingenti perdite di bilancio, che sullo sviluppo dei ricavi, necessario a sostenere in modo equilibrato i costi di una rosa competitiva, e che se non fossero conseguiti potrebbero comportare l’esclusione dalle coppe europee. Un rischio che corrono anche alcuni club italiani. Vediamo un po’, numeri alla mano, di chi si tratta.
Tra le società italiane, quella sicuramente messa meglio ai fini del fair play finanziario è il Napoli di Aurelio de Laurentiis, che fa suo lo Scudetto di bilancio 2012/2013. La società partenopea ha infatti chiuso il bilancio relativo alla scorsa stagione con un utile netto di 8,07 milioni. Si tratta del miglior risultato economico tra i top club della Serie A e del settimo esercizio in utile per il Napoli, che nelle due stagioni prese come riferimento per il calcolo della break-even rule ha conseguito un risultato netto aggregato di 22,79 milioni (agli 8,07 milioni della scorsa stagione si sommano i 14,72 milioni del 2011/2012).
Anche la Fiorentina dei fratelli Diego e Andrea Della Valle sembra essere ben posizionata per centrare gli obiettivi previsti dalla Uefa. Dopo il rosso di 32 milioni conseguito nel 2011 (che non sarà tuttavia considerato in fase di prima applicazione del Financial Fair Play) la società viola ha chiuso il bilancio relativo all’esercizio 2012 con un utile di 1,16 milioni, grazie alla cessione di Nastasic al Manchester City per 24,44 milioni, che ha portato una plusvalenza di 21,37 milioni, ed è indirizzata a conseguire un risultato positivo anche nel 2013, anche in questo caso grazie ai capital gain generati con le cessioni di Jovetic (circa 22 milioni) e Ljajic (4,5 milioni). Tuttavia, anche se i conti dell’esercizio 2013 non dovessero volgere al bello, l’utile realizzato lo scorso anno consentirebbe al club viola di avere comunque ampi margini per non sforare il tetto di 45 milioni di perdita fissato da Platini.
Se dovesse risolvere il difficile momento tecnico che sta attraverso e la squadra biancoceleste dovesse riuscire a qualificarsi a una delle competizioni europee del prossimo anno, anche la Lazio non farebbe fatica a centrare gli obiettivi del Financial Fair Play. L’accordo spalma-debito con il Fisco, che è stato il presupposto per l’acquisto del club da parte di Claudio Lotito, e la politica di austerità seguita dal funambolico presidente nel corso della sua gestione hanno consentito alla Lazio di avere i conti ordine anche per la Uefa. Il risultato netto aggregato delle ultime due stagioni è infatti pari a 4, 38 milioni (4,22 milioni nel 2011/12) e 0,16 milioni nel 2012/13.
Un discorso analogo a quello fatto per la Fiorentina può valere anche per il Milan. Nonostante le tensioni sui futuri assetti di vertice del club tra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani, il lavoro fatto da quest’ultimo in termini di risanamento dei conti ha portato i suoi effetti. Anche se dal punto di vista sportivo nelle ultime due stagioni i tifosi milanisti si sono dovuti accontentare di un secondo e di un terzo posto in campionato, sotto il profilo dei conti Galliani è riuscito a ridurre la perdita dai 67,33 milioni del 2011 ai 6,86 milioni del 2012. E siccome per i club che chiudono i conti al 31 dicembre, i bilanci presi in considerazione dall’Uefa ai fini del fair play finanziario sono quelli del 2012 e del 2013, il Milan, almeno per quanto riguarda la break-even rule, non sembrerebbe avere problemi, in quanto, in linea del tutto teorica, avrebbe la possibilità di ottenere la licenza Uefa anche se chiudesse l’esercizio in corso con un rosso di 38 milioni. Una prospettiva che l’azionista di riferimento Fininvest prefirebbe comunque evitare.
E la Juventus campione d’Italia? A una lettura superficiale degli ultimi due bilanci approvati dalla società presieduta da Andrea Agnelli potrebbe sembrare che il club bianconero non sia in grado di centrare l’obiettivo fissato da Platini. La stagione 2011/12 si è infatti chiusa con un rosso di 48,88 milioni, mentre quella al 30 giugno 2013 con una perdita netta di 15,91 milioni. Il tetto dei 45 milioni sembrerebbe dunque essere stato sforato. In realtà ai fini della break-even rule non tutti i costi di esercizio devono essere considerati. Quelli relativi agli investimenti effettuati negli stadi (la Juve è attualmente l’unico top club italiano ad avere un’impianto di proprietà) e nel settore giovanile, che assieme dovrebbero valere tra 15 e 20 milioni l’anno devono infatti essere scorporati dal totale dei costi. Se questa stima fosse corretta la Juventus avrebbe di fatto raggiunto l’obiettivo fissato dall’Uefa, considerato che la perdita cumulata delle ultime due stagioni oscillerebbe tra 25 e 30 milioni.
Chi invece qualche problema rischia seriamente di averlo sono Inter e Roma. Gli ultimi due esercizi delle due uniche società italiane a proprietà straniera sono infatti stati caratterizzati da risultati fortemente negativi. Il club giallorosso, che nelle ultime settimane è stato al centro di una disputa tra il presidente americano James Pallotta e il socio di minoranza Unicredit sul possibile ingresso nel capitale di un socio cinese, ha chiuso le ultime due stagioni con una perdita aggregata di 98,17 milioni (58,23 milioni nel 2011/2012, l’anno di Luis Enrique, e 39,94 milioni nel 2012/2013 l’anno di Zeman-Andreazzoli).
E in una situazione analoga si trova anche l’Inter dell’indonesiano Erick Thohir, cui Massimo Moratti ha lasciato in eredità un club che nelle ultime due stagioni ha messo assieme un rosso complessivo di 157 milioni, quasi 3 volte e mezzo di più del rosso di 45 milioni ammesso dalla Uefa come soglia massima per ottenere la licenza di partecipare alle competizioni europee nel 2014/15.
Nelle pieghe del regolamento sul fair play finanziario c’è tuttavia una clausola, fortemente voluta dall’ex ad del club nerazzurro Ernesto Paolillo, che consentirebbe a Roma e Inter di ridurre in modo consistente il rosso. Tale clausola prevede che, solo per il bilancio al 30 giugno 2012, non vengano contabilizzati tra i costi gli ingaggi dei calciatori messi sotto contratto il 1° giugno 2010.
Secondo una stima approssimativa e utilizzando un’interpretazione estenisva del regolamento si tratterebbe di circa 100 milioni per i nerazzurri e di circa 40 milioni per i giallorossi. Ma anche in questo caso Inter e Roma si avvicinerebbero solo alla fatidica soglia dei 45 milioni, considerato che il rosso delle ultime due stagioni sarebbe comunque superiore ai 50 milioni per entrambe i club. Serviranno dunque buoni argomenti per convincere Platini a chiudere un’occhio.