“In quanto amministratore delegato sono in carica fin quando gli azionisti mi nominano, e per mia fortuna mi hanno riconfermato 27 volte. E’ bizzarro che si parli di quei 60 milioni, poiché non sono un dipendente e non ho diritto alla buonuscita. Per il resto non ho commenti da fare”. Così il vicepresidente e amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani, ha voluto replicare al duro comunicato della Curva Sud Milano in cui gli veniva rinfacciato di “ricattare” la società chiedendo una buonuscita di 60 milioni di euro per lasciare.
Il tema dell’eventuale “liquidazione” del principale dirigente rossonero torna a infiammare il dibattito tra i tifosi del Milan, ormai spaccati tra coloro che, anche per ragioni differenti, chiedono un rinnovamento totale al vertice del club, e coloro che difendono l’operato di Galliani, attribuendo alla proprietà e a un minore impegno economico di quest’ultima le ragioni delle difficoltà incontrate dal Diavolo nelle ultime stagioni.
Ma come stanno davvero le cose? Veramente Galliani non ha diritto a percepire alcuna indennità nel caso in cui dovesse lasciare il consiglio di amministrazione del Milan e di conseguenza le cariche di vicepresidente vicario e amministratore delegato? Apparentemente il dirigente monzese ha ragione. Galliani, diversamente dagli amministratori delegati di alcuni club italiani, non è un dipendente della società non ricoprendo anche la carica di direttore generale, come avviene ad esempio in casa Juventus dove sia Beppe Marotta sia Aldo Mazzia siedono sia nel consiglio di amministrazione, ricoprendo il ruolo di ad (seppur con deleghe differenti tra loro) sia quello di direttori generali.
Galliani ha dunque ragione quando dice che se Fininvest, cui fa capo il controllo del Milan, decidesse di non rinnovargli il mandato di amministratore (che tra l’altro dura un solo anno), la società rossonera non sarebbe tenuta a versargli alcuna indennità in qualità di dipendente. Ma questo non esclude il fatto che il Milan (o in caso di accordi particolari, direttamente l’azionista Fininvest) non sia tenuto a farlo in caso di cessazione di Galliani dal ruolo di amministratore esecutivo (quindi munito di deleghe operative) della società.
Si tratta di una prassi consolidata in molti importanti gruppi industriali italiani. Un caso che ha fatto clamore ha riguardato, ad esempio, l’ex presidente esecutivo di Telecom Italia, Franco Bernabè. Il 3 ottobre 2013 il top manager trentino, che non ricopriva incarichi da lavoro dipendente nel gruppo telefonico di cui era presidente del consiglio di amministrazione con particolari deleghe esecutive si è dimesso anticipatamente dalla carica, lasciando anche il cda di Telecom.
Prendendo alla lettera le dichiarazioni odierne di Galliani, dunque, Bernabè, non essendo dipendente, non avrebbe dovuto percepire da Telecom alcuna indennità legata alla cessazione del rapporto di amministratore esecutivo della società. Invece, come si legge nella relazione sulla remunerazione del gruppo telefonico (che è tenuto a pubblicarla in quanto, a differenza del Milan, quotato a Piazza Affari), Bernabè ha percepito un’indennità di fine carica di 5,63 milioni. Non saranno i 60 milioni che i tifosi del Diavolo indicano come possibile buonuscita per Galliani, ma sicuramente una cifra importante considerato che Bernabè era stato nominato presidente esecutivo di Telecom Italia solo nel marzo 2011 (dopo esserne stato amministratore delegato per i 3 anni precedenti).
Ma vediamo cosa recita la relazione sulla remunerazione del gruppo Telecom in modo da capire meglio.
In data 3 ottobre 2013, a seguito delle sue dimissioni, il Consiglio di Amministrazione ha deliberato il trattamento economico da riconoscere al Dottor Bernabé in linea con quanto previsto nel contratto stipulato con la Società in data 20 maggio 2011. In occasione del recesso anticipato del rapporto di Amministrazione, la Società ha riconosciuto al Dottor Bernabè (i) il trattamento a cui avrebbe avuto titolo sino a naturale scadenza del mandato (compenso fisso, ivi inclusa la componente variabile, valorizzata come media delle erogazioni già intervenute); (ii) il proseguimento dei versamenti a Fontedir (il fondo pensione dei dirigenti d’azienda, ndr) fino alla naturale scadenza del mandato e il rinnovo, sino al 31 dicembre 2014, di tutte le polizze assicurative diverse da Fontedir già in essere, sostenendone ogni relativo costo; (iii) l’utilizzo dell’auto aziendale in uso fino al 31 dicembre 2013. Infine la Società, esercitando la facoltà presente nel citato contratto, ha stipulato un patto di non competition della durata di 12 mesi, a fronte di un compenso complessivo lordo pari a 2,43 milioni di euro. In tale patto si è previsto, inoltre, un versamento annuo al Fondo di previdenza complementare Fontedir nonché un importo, da corrispondere a copertura delle imposte applicabili a tale beneficio, per una somma complessiva, a carico della Società, pari a 0,45 milioni di euro. Tutti gli importi sopra riportati vengono corrisposti in 2 rate semestrali di pari valore (la prima è stata erogata il 28 novembre 2013, la seconda sarà erogata entro il 31 maggio 2014).
Può valere lo stesso anche per il rapporto tra Galliani e Milan? Difficile dirlo dall’esterno. Il bilancio del club rossonero, redatto secondo i principi contabili italiani, (LEGGI LA VERSIONE INTEGRALE DEL BILANCIO 2013 CLICCANDO QUI) non fornisce alcun chiarimento sull’esistenza di accordi di questo genere. Ma anche il bilancio consolidato della Fininvest redatto secondo i principi contabili internazionali Ias/Ifrs non si sofferma sulle politiche di remunerazione degli amministratori esecutivi delle società controllate. Così, mentre Mediaset e Mondadori, essendo società quotate tenute a pubblicare la relazione sulla remunerazione, offrono importanti dettagli su tali politiche, il Milan, non essendo quotato, può permettersi di non rendere noti i dettagli relativi ai compensi degli amministratori, limitandosi ad indicare l’ammontare complessivo percepito nell’anno dall’intero cda (circa 2 milioni nel 2013).