L’ipotesi che la Brexit offra il destro alle autorità del Regno Unito per avviare una politica fiscale aggressiva viene discussa a diversi livelli.
Il Wall Street Journal, nell’edizione europea del 30 giugno 2016 spiega che Londra potrebbe usare il suo nuovo status di Paese extraeuropeo come incentivo per le imprese, limitando o addirittura vanificando i contraccolpi negativi di Brexit. E il tema è ripreso oggi da Il Sole 24 Ore.
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Nel frattempo il Regno Unito ha già annunciato la diminuzione delle imposte sulle imprese al 17%. E fino al 12% se facciamo riferimento alla normativa italiana ulteriori riduzioni di aliquota non finirebbero nel territorio scomodo dei paradisi fiscali veri e propri.
Lo stesso mondo del calcio rimane molto attento. Come scritto nei giorni scorsi da CF – calcioefinanza.it tra gli investitori disincentivati dalla Brexit potrebbero esserci i numerosi proprietari di squadre di calcio, ma un nuovo regime potrebbe cambiare le prospettive anche per loro.
Che cosa potrebbero fare l’Europa e i Paesi Ue se Londra decidesse di passare a una prospettiva di paese aggressivo? Qualcosa, ma non moltissimo. Cadendo i vincoli agli aiuti di Stato, gli exiters avrebbero mano libera nel sostenere interi settori.
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A questa concorrenza poco leale (se non sleale del tutto) l’Ue potrebbe opporre dazi monetari o ritorsioni di altra natura, come vietare o tassare severamente l’offerta di beni o prodotti finanziari provenienti da oltre Manica. Ma a quel punto la risposta potrebbe tornare dal fronte delle aliquote fiscali.
Come sarebbero sicuramente disincentivi automatici e di una certa efficacia la perdita di regimi di assoluto favore quali le esenzioni della direttiva madre/figlia e di quella su interessi e royalties.
Londra, però, potrebbe giocare una carta che già ha funzionato ai tempi della Thatcher e che mantiene intatto, se non aumentato, il suo fascino: la deregulation. Meno vincoli, meno incombenze, meno costi per quotarsi, per negoziare, per commerciare.